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L'Ascensione: il compimento nel distacco

Noi celebriamo la festa dell’Ascensione, che in verità è parte costitutiva dell’atto unico e indivisibile che è l’evento pasquale. È il testo evangelico stesso della liturgia odierna a rinviarci alla morte e resurrezione di Gesù e all’attesa della sua venutariportandoci al primo giorno dopo il sabato quando i discepoli sono ancora increduli, sotto lo shock della perdita del loro Signore e nell’angoscia del vuoto da lui lasciato. 

Il vangelo si articola in tre momenti: viene fondata la fede nella resurrezione (“Così sta scritto: ‘Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno’”: v. 46), viene annunciata la missione dei discepoli nella storia (“nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e la remissione dei peccati”: v. 47) e, infine, i discepoli sono situati dal Risorto nell’attesa del dono dello Spirito santo (“io mando su di voi ciò che il Padre mio ha promesso”: v. 49).

Il paradosso è che il compimento della promessa celebrato nell’Ascensione passa attraverso un vuoto, o meglio, un distacco. Non una presenza, ma un’assenza. Il compimento? Non una relazione constatabile, visibile e tangibile, ma una distanza; su questo dobbiamo approfondire anche per la nostra vita spirituale.

In effetti, la celebrazione dell’Ascensione ci permette di riflettere sulla dimensione di generatività insita in un atto di distacco e distanziamento, di separazione e di allontanamento. L’Ascensione è evocata, negli scritti biblici, con parole che parlano di allontanamento, di partenza, di assunzione (analempsis At 1,11), di cammino (poreoumai At 1,10-11), di salita (anabasis: Gv 20,17), di separazione ("si staccò da loro": Lc 24,51). Come in una dinamica antropologica di crescita e di divenire, il distacco e la separazione aprono la strada a un nuovo attaccamento, alla creazione di un nuovo legame, così la partenza di Gesù situa i discepoli in una relazione radicalmente rinnovata con lui. I discepoli sono generati a testimoni, diventano dei testimoni: "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48); "Voi sarete miei testimoni a Gerusalemme … e fino ai confini della terra" (At 1,8). Questa nuova relazione è posta sotto il segno dello Spirito Santo ovvero, la libera volontà di Dio di comunicare ed entrare in comunione con gli uomini. Comunicazione e comunione che Gesù ha vissuto durante il suo ministero storico rivolgendo la parola alle folle e ai singoli, una parola capace di ascoltare e di toccare, di prendersi cura delle ferite delle persone che incontrava, una parola capace di dare vita e di dare senso alla vita, una parola che sapeva orientare il cammino di coloro che condividevano la sua avventura. Comunicazione e comunione che Gesù ha vissuto toccando i corpi malati e lasciandosi toccare e anche contaminare, da chi era malato, lebbroso o emorroissa che fosse. Per esprimere questa dinamica di comunione lo Spirito Santo trova dunque nella parola e nel corpo i suoi luoghi di elezione. Quale corpo? L’Ascensione nasconde definitivamente il corpo fisico di Gesù alla vista dei suoi discepoli, lo sottrae alla loro prossimità, al contatto con loro, tuttavia i discepoli possono toccare la carne di Cristo toccando la carne del sofferente, il corpo del povero. Lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che faceva Gesù stesso.

Certo, l’Ascensione parla di un distacco ma che si apre su una nuova comunione tra il Risorto e i suoi discepoli nella storia. Quella che poteva non essere altro che la fine di tutto diventa l’inizio di una storia nuova. La presenza sottratta diventa presenza donata attraverso la responsabilità del credente di dare testimonianza nella storia che trova i suoi due elementi decisivi nella conversione e nella remissione dei peccati (Lc 24,47). Questi sono il centro della predicazione e del messaggio di Gesù e sono realtà sperimentate dai discepoli che si sono messi su strade di conversione, cioè di cambiamento del loro modo di vivere, in obbedienza alla parola di Gesù che si dice venuto “non a chiamare i giusti, ma i peccatori a conversione” (Lc 5,32), e che hanno sperimentato il perdono dei peccati, hanno conosciuto la salvezza nella remissione dei peccati (Lc 1,77). Si è testimoni di ciò che si è conosciuto e sperimentato. 

(da Luciano Manicardi)

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