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VI Domenica di Pasqua - Gv 14,23-29

 La Pace è dono, non conquista autonoma



Gesù sta per tornare al Padre; prima però non ci augura, ma ci lascia o, meglio, ci dona la sua pace, parola risuonata spesso in queste domeniche: è il suo saluto quando incontra i discepoli ripetuta come un ritornello. Ma non è quella del mondo: è lo Shalom, cioè quella pienezza di vita promessa da sempre che già ora scorre come un fiume in piena (Is 66,12), perché è il frutto della vittoria sulla morte di Gesù che ci ha riconciliati, “ri-pacificati” con il Padre. Secondo le Scritture, solo Dio può accordare la pace promessa ad Israele e caratterizza i tempi messianici guidati dal “Principe della Pace”. L’Alleanza escatologica, degli ultimi tempi, quella definitiva, è una “Alleanza di Pace” che “scenderà come un fiume”.

I verbi al presente sottolineano la realtà attuale e la durata indefinita di questo dono: il Regno di Dio è già presso di noi, siamo noi che non ce ne accorgiamo (Is 43,19 - 2Cor.5,17). Certo, non toglie inquietudine, disorientamento, turbamenti, incertezze; non è assenza di guerra, serenità, tranquillità. Non ci toglie pandemie, migrazioni, carenza di risorse economiche e di cibo, povertà, inflazione o la più pericolosa stagflazione che sta avanzando a rapidi passi … In altre parole: non ci toglie la vita che è anche tutto questo. Non ci toglie l’ansia si sentirsi realizzati in una società ricca di tutto, che a volte ci fa ripiegare su di noi stessi nell’egoismo, impedendoci di capire che la nostra realizzazione passa nel saper accogliere l’amore che l’altro ci offre trasmettendo così l’amore ricevuto dal Cristo (domenica scorsa: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”), nel sapersi affidare alla possibilità che ha l’altro di liberare tutte le nostre potenzialità e capacità, portandoci a quel compimento di vita piena alla quale aspiriamo che è dono, non conquista autonoma, che è possibilità di sperimentare la misericordia, il perdono e la benevolenza di Dio. Tutto questo ci rende capaci di vivere in relazione con gli altri, donando noi stessi attraverso l’esercizio della carità e il rifiuto di ogni forma di oppressione. In questo senso la pace di Dio come dono, è inseparabile dall’essere costruttori e testimoni di pace (Mt 5,9).

Pregare oggi per la pace in Ucraina, non è chiedere a Dio la fine della guerra, ma di donare agli uomini la volontà e la capacità di praticare tutte le vie possibili per giungervi, di saper leggere la storia con intelligenza (=leggere dentro) per poter vivere lo Shalom, quella vita in pienezza che la guerra toglie, non raggiunge, ma che Lui desidera per noi, che ci dona, cioè ci offre, la possibilità di accoglierla o di rifiutarla.

Gesù ce lo lascia come compito, assieme a quello di diffondere nel mondo la sua Parola. Ricorderemo? Sapremo farlo? Non preoccupiamoci, ci penserà lo Spirito (il Paraclito) a insegnarci e a farci ricordare ogni sua parola, sapendo che, questo “ricordare” non è un semplice “rammentare”, il guardare una foto del passato, ma è un rendere quel fatto, quella parola, attuale vivendola concretamente. 

Le promesse di Gesù non sono rivolte a qualcuno, ma all’intera sua Comunità che è il luogo all’interno del quale lo Spirito rivela e attualizza la Parola in modo sempre creativo, rendendola “viva” per sempre in ogni momento della storia degli uomini e donando ai credenti una identità nuova che li rivela come “altri Cristi”.

Quell’osservare la Parola al quale ci invita Gesù, non è allora limitabile all’osservare le “leggi”, i “comandamenti” di Dio per paura, per ricercare vantaggi o liberarsi da sensi di colpa. È invece accogliere e seguire una Parola che genera, spalanca porte, semina germogli di vita nuova in ogni luogo e su tutti impegnandoci a farli crescere rigogliosi. Una Parola che, se accolta, prende dimora presso di noi e opera attraverso noi a favore degli altri rendendo così testimonianza al Padre e a Gesù. Lo sperimentiamo anche nella nostra semplice quotidianità: quando vi è una unione salda tra le persone, questa si apre naturalmente verso gli altri. Non ci si sente mai tanto uniti come quando si opera assieme a favore di altri. Per questo è importante imparare a coniugare la vita attraverso il “noi”, superando “l’io”; imparare a camminare assieme in quella “sinodalità” verso la quale papa Francesco sta cercando tra molte resistenze di spingere la Chiesa oltre le difese del potere clericale. È necessario iniziare ad epurare il nostro linguaggio da tutti i termini legati alla sopraffazione, alla lotta armata, in tutti i campi: dallo sport, all’ambiente di lavoro. Un solo esempio: durante la pandemia (ancora tra di noi), il mondo non era e non è in “guerra”, ma in “cura” …

 

(BiGio)



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