Finalmente. Finalmente qualcuno lo dice, ed è una voce che più autorevole di così non si può. Lo ha detto Zoja Svetova, giornalista di Novaja Gazeta rimasta a Mosca, dopo l’autosospensione forzata da parte del giornale, e autrice – fra l’altro – di Gli innocenti saranno colpevoli – La giustizia ingiusta nella Russia di Putin, (in Italia edito da Castelvecchi a cura di Vittoria Massimiani). Dice che i sondaggi da cui risulterebbe un 80% dei consensi rispetto all’autocrate e al suo apparato sono totalmente inattendibili, e che è “una sciocchezza” crederci dopo che, a poco a poco, tutti i media indipendenti sono stati soppressi in Russia, e quando la gente rischia il carcere solo se pronuncia la parola “guerra” (per questo, pur dicendo cose che più chiare non si poteva, Zoja non l’ha pronunciata).
Ha fra l’altro sottolineato il numero enorme – se pensiamo al coraggio che ci vuole – delle persone che, da quando la guerra è cominciata, manifestano contro. Per non parlare dei manifesti degli accademici, degli scrittori, delle prese di posizione dei singoli artisti, dell’emigrazione. Questa riflessione ha due temi: la confusione fra Putin e “i russi”, e la domanda: che fine ha fatto in Europa l’Illuminismo, cioè “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso”? (Kant).
La minorità che l’uomo deve imputare a se stesso è quella senza cui le autocrazie non restano in piedi. E imputarla a se stessi è crederci, che uscirne è in nostro potere. Questa però non è una convinzione teorica, è un impegno attivo o non è nulla. Ecco perché l’Illuminismo implica l’idealismo morale, ed ecco perché dedico questa riflessione a Zoja. Che nel sottotitolo del libro citato si definisce “un’idealista” – dove ovviamente questo termine va inteso in senso morale, e non in senso speculativo.
La domanda è: ma se siamo noi europei i primi a non credere nella ragione umana, preferendole i sondaggi: per quali ideali, con quali speranze potranno agire i dissidenti russi? Perché siamo noi che abbiamo perduto i lumi della ragione se ribadiamo questa confusione fra i russi e Putin, se continuiamo a escludere i russi da tutte le manifestazioni culturali. Ultimo il caso citato da Zoja dell’esclusione dei giornalisti russi dal Festival di Cannes.
Si è parlato su questo giornale (Domani, 6 aprile u.s.) dell’intervento del console ucraino a Napoli contro il gala al San Carlo di Napoli, dove Olga Smirnova, prima ballerina del Bolshoi, che alla sua carriera al Bolshoi ha rinunciato perché è contro la guerra, si è esibita con Anastasia Gurskaya, prima ballerina dell’Opera di Kiev. Francesco Merlo su Repubblica (15 aprile), a un lettore (Armando Bussi) che si dichiarava basito per la polemica contro la Via Crucis guidata insieme da una donna russa e da una ucraina, risponde senza complimenti che, anche al di là dei sentimenti di queste donne, “vittima e carnefice non portano la stessa croce, e uno solo dei due ha il diritto di chiedersi, per entrambi, ‘se questo è un uomo’”.
Un carnefice, solo per il fatto di essere russa? E non è, questo, spegnere ogni residuo lume di ragione?
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