Eremiti in Italia. Raffaele Busnelli: “Il Signore prepara la strada nel deserto, ma anche la città può essere luogo di incontro”

 Sono circa 200 gli eremiti in Italia, una cui rappresentanza si è incontrata a Lucca per riflettere anche sul Cammino sinodale della Chiesa italiana. Un vita di preghiera e silenzio, ma anche di relazioni con i fratelli che bussano alla porta. Perché, ricorda don Raffaele Busnelli che da 10 anni ha scelto la strada dell’eremo, alla fine del mondo “non c’è un eremo ma la città”

A conclusione del Sinodo avete indirizzato una lettera alla Chiesa italiana nella quale si legge che “tra noi c’è chi è chiamato dallo Spirito a vivere il deserto nei monti, in campagna o nelle città; chi vive una vita prettamente solitaria o chi la condivide con fratelli e sorelle in piccole comunità; chi vive di carità, chi lavora”. Cosa vi accomuna?         

Tutti gli eremiti sono diocesani, non siamo un’entità astratta o lontana. Abbiamo diversità tra di noi, ma siamo dentro all’apostolato contemplativo. La nostra caratteristica è la contemplazione, ma sentiamo la responsabilità della testimonianza e della trasmissione della fede nella solitudine e nell’ascolto.

 

Come la città in cima al monte siamo visibili e, dunque, abbiamo la responsabilità del nostro vissuto.

E poi abbiamo a cuore la trasmissione della fede. Le persone che vengono da noi, se si eccettuano i curiosi, desiderano un cammino di fede e di preghiera. Testimonianza e trasmissione della fede è il lavoro quotidiano di ogni parrocchia. Non facciamo niente di diverso.

Con un’attenzione al popolo di Dio…          
Fa parte della tradizione. I padri del deserto dicevano che quando giunge all’eremo un ospite, si interrompe tutto: dalla preghiera al digiuno. L’ospite sia accolto in monastero come Cristo, diceva san Benedetto.

 

Quando ti ritiri, il mondo arriva. Da me vengono dai cinque continenti grazie al passaparola.

Una scelta di vita apparentemente estrema che però, stando anche ai numeri, è attrattiva. Le vocazioni alla vita sacerdotale diminuiscono, mentre l’opzione per la vita eremitica cresce…
È sempre una vocazione nella vocazione. Difficile parlare di una crescita vocazionale degli eremiti in senso stretto, perché si tratta già di preti diocesani o religiosi o laici consacrati. Ma è vero che iniziamo a conoscerci di più, ci contattiamo e ci ritroviamo.

In una società efficientista, si tende a misurare le persone in base a quello che producono. Secondo questa logica, gli eremiti non sarebbero in grado di offrire un contributo concreto al vivere comune. Ma è davvero così?     
Anche nell’ambito della spiritualità desumiamo i termini dal mondo produttivo ed economico. In realtà, non ci dovrebbero appartenere.

 

Se leggiamo l’esperienza eremitica in termini economici, è sicuramente improduttiva. 

Ma il Signore prepara la strada nel deserto, dove sembra non ci sia niente di utile. La novità fiorisce dove non posso andare a raccogliere esperienze già vissute.

Che sia in una città o su un eremo?   
Anche la città non è solo un ambiente che scarica, può essere invece il luogo dell’incontro. L’Apocalisse si chiude con la discesa della Gerusalemme celeste. Non c’è un eremo alla fine del mondo, ma la città. L’eremo non è il luogo più significativo della rivelazione di Dio, ma la città dove vivono gli uomini.


(Riccardo Benotti)



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