Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, c'è chi dice che il Papa sia uno dei pochi leader, se non il solo, che cerca la pace vera, e non «camuffata» da tregua «inquinata» dal riarmo globale: si può arrivare alla pace attraverso le armi?
«Degli antichi romani si diceva: "Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant", prima fanno il deserto e poi lo chiamano pace! Le guerre ci dimostrano proprio questa triste verità: la "pace" a cui esse portano è quella del deserto, anzi, oserei dire, la pace del cimitero, perché costruita sopra le macerie di tante distruzioni, soprattutto di vite umane, che nella maggior parte sono quelle di bambini, di donne, di anziani e di tanti altri innocenti. Pertanto, non si può arrivare alla pace attraverso le armi, al contrario ci si può arrivare solo rinunciando alle armi. Purtroppo, la disponibilità alla risoluzione pacifica dei conflitti è spesso inversamente proporzionale alla forza militare di cui si dispone».
Si può giustificare una guerra con la Parola di Dio?
«Ogni guerra, in quanto atto di aggressione, è un'azione contro la vita umana e, pertanto è un'azione sacrilega. Di conseguenza, non si può trovare alcuna giustificazione nella Parola di Dio, che è sempre parola di vita, non di morte».
Qual è l'attività diplomatica della Santa Sede?
«Continua l'impegno per ristabilire la pace in Ucraina, a tutti i livelli. Rimane disponibile a facilitare qualsiasi negoziato tra le parti che possa mettere fine all'aggressione militare e proteggere la vita dei civili, che si trovano nelle zone di combattimento, anche attraverso corridoi umanitari. Le parole chiave per la Santa Sede sono: rispetto per la vita umana e disponibilità al negoziato».
Quali sensazioni ha provato vedendo le immagini della ragazza ucraina e dell'amica russa che portavano insieme la Croce?
«L'immagine delle due donne, Irina e Albina, ucraina e russa, che portano insieme la croce il Venerdì Santo al Colosseo, durante la Via Crucis presieduta dal Papa, l'ho percepita - mi si passi l'espressione - come qualcosa di "scandaloso", nel senso paolino del termine, cioè come qualcosa umanamente difficile da comprendere. È stato, nello stesso tempo, un segno di speranza. Nel mistero della croce troviamo la forza dell'amore e del perdono di fronte all'odio e alla morte. Questi sembrano prevalere, ma la vita e l'amore di Dio sono più forti. L'amicizia che esisteva prima della guerra e continua ad esistere anche ora tra quelle due donne, colleghe di lavoro, è più forte della divisione e dell'odio. La guerra pretende di dividere due popoli, che sotto la croce si riconoscono fratelli».
(da una intervista di Domenico Agasso)
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