Ascoltare per essere coinvolti già oggi, in una comunione di vita talmente profonda che niente potrà più in eterno separarci da lui.
La "vita eterna" inizia già oggi, non in un futuro indeterminato e nulla andrà perduto.
Gli Evangeli del tempo pasquale di questo anno liturgico ci hanno indicato che, nella carta di identità del Risorto, che viene e rimane in mezzo ai suoi, non c’è l’immagine del suo volto, ma quelle delle sue mani e del suo costato feriti, immagini di una umanità ferita dalla malattia, dall’odio, dalla diversità che lui ha fatto propria fino in fondo, proponendoci di condividere il suo modo di vivere. Solo allora la “pesca” sarà abbondante. A Pietro poi ha affidato il compito (non il potere) di vigilare sulle sue pecore come fanno i pastori, chiedendogli di seguirlo, di imitarlo in tutto fino alla fine.
Sono solo tre i versetti dell’Evangelo di oggi e ci invitano a focalizzare lo sguardo sul rapporto tra il Signore ed i suoi attraverso l’immagine del pastore e sue pecore.
Nel primo versetto esplodono in sequenza tre verbi capaci di sintetizzare e caratterizzare questa relazione: ascoltano la mia voce – io le conosco – mi seguono
Ascoltano la mia voce. L’ascolto del Signore è quello che contraddistingue fin dall’inizio il rapporto tra lui e il suo popolo. Sul Sinài Israele non lo ha visto, ma ha sentito la sua voce; Dio parla e il suo popolo “ascolta”. È così forte questa esperienza da diventare l’incipit dell’identità credente, di ogni credente: “Ascolta Israele, ascolta il Signore tuo Dio” (Dt 6,4).
Ascoltare non significa semplicemente udire, ma dare la propria adesione alle parole che provengono da Signore, fidandosi di lui che vuole che la nostra vita sia in quella pienezza per la quale ci ha pensato. Lui parla, non impone ma propone. Siamo invitati ad ascoltare la sua voce e a mettere in pratica quanto ci dice non per ossequio, non per obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché in quelle parole ci sta la vita, ma nostra vita: è l’umanità che gli sta a cuore e ce l’affida.
Io le conosco. Il verbo conoscere nel linguaggio biblico, narra e implica una relazione profonda come quella tra gli sposi. È dono reciproco di sé all’altro, è amore e scambio profondo, è scoperta continua e vicendevole. Gesù usa questo verbo per dire il rapporto che c’è tra lui e chi ha accolto la sua proposta: un rapporto profondo di comunione di vita con lui, di amore.
Mi seguono. Dove sta andando Gesù? Sta camminando con decisione verso il dono totale di sé, questa è la sua meta. Seguirlo significa andare insieme con lui, fare la scelta di non ripiegarsi mai su sé stessi, ma di pensare sempre al bisogno, al bene del fratello, chinandosi su di lui, affiancandosi alle sue fatiche fino a donare la vita per lui.
Essere e lasciarsi coinvolgere in questa spirale d’amore, significa saper e poter accogliere già da ora il “dono della vita eterna” e viverlo in pienezza. Il verbo è al presente e non al futuro. Vivere come ha vissuto Gesù, significa già da ora essere come lui, parte della stessa vita del Padre, dell’Eterno. Davanti però ci sta il suo dono della vita per noi. Al centro del nostro rapporto con il Signore, non c’è quello che noi facciamo per lui, bensì quello che lui ha fatto per noi. Al cuore del nostro rapporto con Lui non c’è il nostro comportamento, ma la sua azione e non ci chiede nulla in cambio dei suoi doni. Sì, possiamo rifiutarli, ma allora verrà a cercarci e a cercarci instancabilmente ancora, come fa il pastore con la pecora smarrita.
Non andranno mai perdute. Il perdersi è la nostra paura come quello dell’aver sprecato la nostra vita, di non aver realizzato nulla, di non lasciare traccia, memoria della nostra vita biologica. No, ci assicura il Signore, non dobbiamo avere questa paura per la ragione che nessun nostro briciolo d’amore andrà mai perduto: è questo il dono della "vita eterna". Il motivo? Perché già da ora anche quello più piccolo da noi fatto, con noi che l'abbiamo compiuto, fa parte dell’eternità. Per questo non dobbiamo aver nessun timore e nessuno ci strapperà (rapirà) dalla sua mano. Il suo amore ci proteggerà sempre dai pericoli di questa nostra vita e, in ogni caso, noi siamo più grandi dei nostri errori.
Noi siamo stati affidati a Gesù, ma siamo del Padre. Se ci ha assicurato che nessuno potrà strapparci dalle sue mani, tantomeno da quelle del Padre. Su questo Gesù insiste: nessuno può rapirvi dalle mani del Padre e, io e il Padre siamo uno (non “una cosa sola”), non è una fusione bensì una comunione.
Se ascoltiamo la sua voce, saremo coinvolti già oggi in una comunione di vita talmente profonda che niente potrà più in eterno separarci da lui, protetti da quattro mani; una doppia sicurezza per noi, una unica certezza: nessuno, nessuno (due volte viene detto) e niente potrà farlo.
Quella del Signore è una voce inconfondibile narrata nel Cantico dei Cantici: “Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline”, una voce desiderata che racconta una relazione, rivela una intimità, una gioia profonda e serena: “La tua voce fammi sentire”, mio Signore.
(BiGio)
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