Nei prossimi giorni si capirà come reagirà la piazza cilena che di fatto aveva non solo sostenuto ma anzi spinto Boric verso la presidenza. Questa frenata avrà conseguenze in tutto il continente sudamericano che vede nel Cile un Paese relativamente piccolo ma economicamente importante, più stabile delle nazioni vicine e saldamento ancorato ai valori occidentali
Sorpresa – ma non troppo – nel referendum di domenica in Cile con quasi due terzi dei cileni che hanno detto “no” alla nuova Costituzione.
Sconfitto il presidente “progressista-ecologista” Gabriel Boric, eletto alla Moneda solo pochi mesi fa, si apre ora un nuovo capitolo nella storia politica cilena che per molti versi ha profonde similitudini con quella italiana.
In gioco era il nuovo ed innovativo testo costituzionale fortemente voluto dal giovane presidente Boric, “una svolta d’avanguardia” secondo i media progressisti, ma che è stata però largamente rifiutata dal voto popolare in tutte le zone del Paese.
Rimane quindi in vigore la “vecchia” Costituzione, quella votata nel 1980 quando era ancora in auge il generale Augusto Pinochet, ma che – più volte emendata – ha comunque permesso una transizione democratica del Cile ed il succedersi in un trentennio di presidenti di diverso orientamento politico, dai progressisti esponenti della potente famiglia Bachelet a Sebastian Pinera che l’anno scorso cedette a sorpresa la presidenza a Gabriel Boric, leader della protesta studentesca di una decina di anni fa, esponente della sinistra più estrema e che con i suoi 36 anni è tuttora il più giovane presidente della storia di questo Paese.
Dopo la presidenza di Michelle Bachelet, indiscussa leader del centrosinistra cileno, Pinera aveva ereditato un Paese diviso e decisamente in crisi sia dal punto di vista economico che sociale ma – come esponente di una destra moderata – si era dimostrato insufficiente davanti agli scontri di piazza che hanno contraddistinto molti mesi della vita cilena nel 2019.
Nessun commento:
Posta un commento