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Domenica XXIV PA – Lc 15,1-32

Nulla sfugge a Dio e che, se qualcuno si perde o viene perso, non si dà pace fintantoché non riesce a ricomporre, a ricongiungere o ritrovare chi si era o era stato smarrito. Da parte sua non c’è alcuna attività, solo la disponibilità di essere cercato. È la possibilità data di ricominciare d’accapo e l’aver accettato di fare una nuova partenza.

 

Dopo alcune Domeniche nelle quali la Liturgia ha posto alla nostra attenzione le esigenze della sequela attraverso alcuni episodi, parabole e detti di Gesù schietti fino alla durezza nel dirci che non è una nostra iniziativa il seguirlo, bensì è lui che ci chiama e che, se non comprese bene, le condizioni per seguirlo possono spaventarci, fino a farci rinunciare. Ci chiede di lasciare quello che possediamo, quello che pensiamo di essere, anche i nostri rapporti sociali più stretti, per riavere tutto quanto come un dono trasformato dall’amore e dalla misericordia del Padre, sempre disposto ad accoglierci e a sostenerci.

 

L’Evangelo di oggi ci presenta tre parabole, anzi due perché quelle della pecora e della dramma perdute sono un tutt’uno; la terza è quella erroneamente così detta del “figlio prodigo”. Queste parabole fanno un insieme unico nell’annunciare la gioia per la misericordia del Padre ma, la terza, l’abbiamo già incontrata in questo anno liturgico nella IV Domenica di Quaresima e, per un suo approfondimento si rimanda a quanto già si trova a queto link:

 https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2022/03/iv-di-quaresima-lc-151-311-32.html .

 

Venendo all'altra parabola di questo Evangelo, l’inizio della sezione inquadra la situazione: attorno a Gesù si avvicinano “tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano …”. È importante che Luca sottolinei che c’erano “tutti” i pubblicani, i farisei e gli scribi, non ne mancava uno. È una situazione nuova nella quale tutti sono radunati attorno a Gesù ma, alcuni, criticano il suo accogliere i peccatori e il suo stare a tavola con loro.

Per rispondere a questi biasimi Gesù narra una doppia parabola modificando la versione di Matteo sul pastore e le sue pecore, nella quale una di loro si era smarrita. In Luca, invece, è il pastore che ne ha persa una; il verbo greco usato, indica appunto la perdizione, il contrario della salvezza. Il contesto lo conferma perché siamo in un deserto, luogo prediletto dai demoni pronti a gettarsi sulle pecore discoste dal gregge che, fintantoché rimangono unite, non corrono pericoli. Appare chiaro l’invito all’unità, a non dividersi, a cercare di far in modo che nessuno se ne vada per un’altra strada in solitudine correndo ogni sorta di pericoli.

Quando il pastore ritrova la pecora che aveva perso (forse anche per un po’ di disattenzione sua così come accade nella seconda parte della parabola, quella riguardante la donna e la dramma…) esplode la gioia, convoca gli amici, fa festa e Gesù conclude che “Vi sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte, più che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione”. Matteo è invece molto più sobrio e scrive: “Così è la volontà del padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda”.

Nel racconto è chiaro che il pastore rappresenta il Padre e il suo modo di agire e Gesù lo interpreta quando condivide il pasto e si confonde con i peccatori e si rallegra quando anche uno solo di questi si converte.

 

Se si è attenti al testo, non può sfuggire che la pecora persa non fa nulla per essere ritrovata, come nessuno di coloro che stavano attorno a Gesù si “converte”. Come non può essere colto che si sono “novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.

Da parte di chi si è perso non c’è alcuna attività, solo la disponibilità di essere cercato dal Signore e, una volta trovato, di accettare di essere nuovamente tra le sue braccia, riportato nel gregge. È la possibilità data di ricominciare d’accapo e l’aver accettato di fare una nuova partenza, di riprovarci ancora una volta a seguire la sua volontà là dove l’essere umano prende le sue decisioni e fa le sue scelte di vita.

L’accento cade tutto sulla forza dell’iniziativa di Dio per i peccatori, per chi si è o è stato perso e va in secondo piano l’esistenza di coloro che hanno fatto del Signore la loro ragione di vita, che cercano di rimanergli fedeli, di interpretare la sua giustizia ogni giorno. Questo non sempre riesce ma, per il Signore, è più facile ritrovarli e ritrovarci perché già “orientati” nella sua sequela. È quello che accade in ogni gregge: quando si muove assieme, le pecore non seguono una medesima via retta, procedono in modo disordinato, certamente non sincronico. Ma sono e rimangono assieme in questo deserto nei quali demoni assalgono e hanno compito semplice con chi si è staccato.

Il pastore gioisce certamente per il gregge al quale è affezionato e ne condivide la vita, ma ovviamente tanto di più quando riesce a ritrovare la pecora che aveva perso lungo la via.

 

Nella seconda parte della parabola, a differenza della prima dove al centro c’era un ricco pastore, di scena è una povera donna (pochissimo rappresentata nell’arte …) che vive in una casa oscura e ha da vivere ancora per pochi giorni. Una dramma era il salario giornaliero bastante solo per un giorno, ma che può far anche pensare a quel “dacci oggi ciò che basta per vivere” della preghiera del Signore.

Non è una novità l’identificazione del Padre con una donna o con una madre: nella Scrittura non è frequente ma non certo inusuale.

 

Gesù affianca due situazioni diverse per dirci che nulla gli sfugge e che, se qualcuno si perde o viene perso, non si dà pace fintantoché non riesce a ricomporre, a ricongiungere o ritrovare chi si era o era stato smarrito. Medesima finalità, ma due modalità diverse rappresentate dal pastore e dalla massaia. Forse più che sommarle, desidera far notare come queste possano essere un moltiplicatore una per l’altra ed è ciò che accadrà nella parabola seguente, nella quale questo emerge con chiarezza ed è stato ben colto da Rembrandt nel suo famoso dipinto dove, le due mani che abbracciano il figlio, sono una dalle fattezze femminili ed una maschile.

 

L’invito che Gesù ci fa è quello di non rimanere indifferenti, ma di accorgerci dell’indaffararsi di Dio nel cercare ciò che ha perduto, anche se è di poco conto come il valore di una dramma che, in ogni caso, rappresenta per lui un bene prezioso, una necessità vitale. Come i due spiccioli messi dalla donna nel tesoro del tempio, come l'amministratore disonesto (Gesù) che sperpera la ricchezza del Padre (la misericordia) e che sarà al centro dell'evangelou della prossima domenica.

 

(BiGio)

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