Si chiama urbicidio, la distruzione delle città. Lo abbiamo già visto in atto nel decennio delle guerre nei Balcani
Le fiamme salgono dalla facoltà di sociologia dell’Università Karazin di Kharkiv, una delle città più martoriate in questi primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina. Un missile delle forze armate russe ha centrato il palazzo, uno degli edifici di quella che veniva considerata la migliore università del paese, oltre duecento anni di vita, l’Alma Mater di uno dei più importanti fisici dell’età contemporanea, Lev Landau. Le fiamme salgono e si mangiano il tetto, e a me – che guardo i video da un luogo confortevole e in pace, in Italia – ricordano le fiamme che si mangiavano la biblioteca di Sarajevo.
Succedeva esattamente trent’anni fa. Ad agosto, nella notte tra il 25 e il 26 agosto, celebreremo i trent’anni di una delle pagine più infauste della storia contemporanea europea. La biblioteca di Sarajevo, dall’aprile già stretta d’assedio dalle forze serbo-bosniache sostenute dalla Serbia di Slobodan Milosevic, bruciò per tre giorni, dopo essere stata bersaglio del bombardamento di artiglieria dal quartiere di Grbavica, nelle mani delle milizie serbo-bosniache. Fu uno degli atti più simbolici della pratica dell’urbicidio a Sarajevo.Urbicidio, la distruzione delle città. L’omicidio rituale della città, secondo la definizione di Bogdan Bogdanovic, architetto, sindaco di Belgrado negli anni Ottanta, serbo, dissidente contro Milosevic.
Urbicidio a cui certo la storia europea non è estranea, visto quello che le città del continente hanno subìto durante la seconda guerra mondiale, da Stalingrado a Kyiv a Berlino, da Milano a Napoli a Londra. Urbicidio ‘sperimentato’, in modalità diverse.
L'intero articolo di Paola Caridi a questo link:
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