Dobbiamo riconoscere che ci sono almeno tre elementi, che diamo per scontati, rispetto alla messa, ma che scontati non sono più
L'articolo di Marco Pappalardo mi ha spinto a prendere sul serio una sua affermazione: “è facile puntare il dito contro Don Mattia o applaudirlo, senza che qualcosa cambi in me e nella comunità; difficile, invece, è interrogarsi su come celebriamo”. L’impressione che ho, è che questa difficoltà nasca dal fatto che ancora prima che interrogarci sul come celebriamo, dobbiamo riconoscere che ci sono almeno tre elementi, che diamo per scontati, rispetto alla messa, ma che scontati non sono più.
Il primo. La messa non è un fatto privato, ma comunitario. La domanda allora è: esistono ancora le comunità cristiane? Cioè, esistono gruppi di persone che, per il fatto di credere, attivano rapporti più o meno organizzati con altri credenti, non solo nella celebrazione liturgica, ma anche nella loro vita quotidiana? “Per il fatto di credere” significa che l’incontro con l’altro non è generato solo da un bisogno umano, o dalla possibilità spazio temporale di incrociarsi, ma dal desiderio di condividere la propria fede. Quante volte, cioè, fuori dalla celebrazione, incontriamo e tessiamo rapporti con qualcuno proprio perché è credente e desideriamo condividere con lui la nostra esperienza di fede?
https://www.vinonuovo.it/comunita/bibbia-e-liturgia/ancora-qualche-domanda-sulla-messa/
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