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1 Domenica di Avvento – Lc 21,25-28.34-36

 Coraggio: ma non per sfuggire alle catastrofi imminenti, piuttosto dal torpore che ci impedisce di scorgere, nel travaglio della storia umana, il destino stesso del seme gettato che muore e porta frutto.



Quando, dopo un lungo cammino si giunge alla meta, normalmente ci si rilassa come quando si giunge a un rifugio in montagna. Non è però così la vita che, come l’ha definita il Guardini, è una realtà germinante di continuo, fatta anche e soprattutto di germogli ai quali non ci si può aggrappare, che non possono dare sicurezze. Regalano però i colori della primavera, “il profumo della bambina speranza” come ha scritto Peguy. S. Gregorio di Nissa dice che la vita “va da inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno fine”.

Così, dopo un cammino durato un anno e concluso la scorsa domenica con la Festa della regalità di Gesù, ecco che ci è nuovamente chiesto di fare attenzione perché qualcosa sta accadendo, qualcosa sta venendoci incontro e, la nostra attenzione va direttamente al Natale con tutto quanto attorno a questo accade. Certo è vero che l’Avvento è il tempo delle promesse che la speranza insita in noi ci fa subito pensare in positivo: l’uscita dalla pandemia o la possibilità di correggere i nostri atteggiamenti per assicurare un futuro al nostro pianeta.

Invece no: l’Evangelo ci riporta indietro a due domeniche fa dove il brano di Marco ci annunciava che “il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Oggi in Luca leggiamo che “vi saranno segni nel sole, nella luna e delle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Non ci viene dato il tempo di “rilassarci” un attimo e c’è da rimanere disorientati.

Ma anche oggi l’Evangelo non ci vuole raccontare la fine del mondo, ma il suo mistero e ci prende per mano incoraggiandoci e chiedendoci di uscire dal nostro torpore, di guardare in alto, di percepire la vita che pulsa attorno a noi, che soffre le doglie del parto che apriranno una vita nuova. Il cammino verso il Signore che viene non è mai finito, non è mai compiuto una volta per tutte.

La Liturgia della Parola in Avvento ha un doppio registro: da una parte ci incoraggia a levare il capo verso Colui-che-si-fa-vicinodall’altra ci chiede di rimanere attenti a quanto accade dentro e attorno a noi. È un invito a rimanere senza distrazioni bene saldi con i piedi sulla terra, ma contemporaneamente ad avere un passo leggero perché, come due domeniche fa, la nostra roccia è Cristo.

Come Marco, Luca riprende le antiche profezie ma, come lui, vi legge in trasparenza l’evento cruciale del suo racconto: quello della croce. Là, infatti, sono accaduti gli eventi apocalittici annunciati (Lc 23,44) e là pure il Figlio dell’Uomo è venuto con potenza e gloria grande, non in uno scenario hollywoodiano, come quasi sempre immaginiamo, ma quale “re umile e salvato” del quale parlava Zaccaria: proclamato “re degli ebrei” sulla croce. Ecco l’evento determinante grazie al quale possiamo, reciprocamente incoraggiandociad alzarci, levare il capo e vedere l’inizio della nostra liberazione (il termine greco tradotto cosi, alla lettera significa redenzione”). È molto significativo che Luca scriva: “quando queste cose cominceranno ad accadere, alzatevi”; gli eventi della croce sono proprio l’inizio decisivo di cui aspettiamo il pieno compimento. 

La conclusione del discorso non può essere che una solenne messa in guardia, come era stata l’introduzione di questa sezione: Guardatevi dagli scribi”. Ora però non occorre più guardarsi solo da questi o da quelli che divorano le case delle vedove. Si tratta più profondamente di vegliare su noi stessi (Lc 17,3). Tutti i segni sono stati dati, “quel giorno”, il giorno della manifestazione piena ed evidente del regno di Dio, giungerà forzatamente all’improvviso. La messa in guardia concerne allora ciò che minaccia gli esseri umani di intontimento: eccessi di bevande alcoliche che possono condurre alla violenza e preoccupazioni della vita (Lc 8,14) che provocano l’agitazione e i cuori divisi (ricordiamo il rimprovero di Gesù a Marta, Lc 10,41), falsi obiettivi di vita, disperati e inutili esorcismi di ciò che temiamo. Quel giorno giungerà come una rete che congela all’istante la situazione che trova; occorre perciò incoraggiandoci reciprocamente restare svegli “perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”; non si tratta di restare svegli per sfuggire alle catastrofi imminenti: “ciò che sta per accadere”. È piuttosto il pericolo di intontimento, le orge, le preoccupazioni, la mondanità …, in breve ciò che potrebbe minare la nostra perseveranza e portarci a vergognarci quando saremo davanti al Figlio dell’Uomo.

Quindi, di fronte alle continue realtà difficili che siamo chiamati a vivere, ci viene un invito a non rimanere atterriti, spaventati, demotivati, ma a “risollevarci”, ad “alzare il capo”, a guardare in faccia la realtà e a sfidarla perché al nostro fianco c’è sempre stato, c’è e rimarrà il Signore alla cui luce tutto diventa chiaro e che, al di là delle apparenze, ci chiede di scorgere nel travaglio della storia umana il destino stesso del seme gettato che muore e porta frutto.

Il problema allora non è se o quando ci sarà la fine, quando tornerà il Signore nella sua gloria; il problema è come vivere il presente: ciò che attendiamo ci è dato qui ed ora da vivere nella “memoria” della vita di Gesù, che ci apre il futuro nel nostro oggi alla novità del dono gratuito. L’invito è quello a vivere il presente da “amministratori fedeli e saggi” con responsabilità attiva e vigilante (Lc 12,42), per guadagnarci la nostra vera ricchezza (Lc 16,9-12). 

 (BiGio)

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