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Non ho mai amato il 2 novembre


Non ho mai amato il 2 novembre, il giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Non per qualche ragione di tristezza nel ricordare qualcuno che non è più tra di noi, genitori, parenti, amici ma perché non ho mai capito perché questo deve avvenire il 2 novembre. Perché molti si ricordano dei loro morti solo in questa data e per il resto dell’anno le tombe per lo più sono adorne di fiori appassiti o di plastica più o meno impolverati.


Per conto mio il giorno più bello e significativo per andare a trovare i propri cari in cimitero è il Sabato Santo e, quando ho potuto, l'ho fatto e lo farò. È il giorno del Grande Silenzio nel quale tutto tace, l’unico giorno dell’anno nel quale non c’è liturgia, non c’è alcuna benedizione. È il giorno del Grande Stupore perché l’autore della vita è incomprensibilmente morto. È il giorno della Grande Attesa, quell’attesa che tutti aspettiamo, loro e noi, l'inedito, l'indicibile della Risurrezione. È il giorno della più grande speranza se davvero crediamo nella fede pasquale del Risorto. È il giorno che più ci unisce, nella speranza, noi e loro. Una "speranza che non delude" scrive S. Paolo nel brano della seconda Lettura "perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori". Ci è lecito sperare perché sperimentiamo il Risorto; se non fosse così, scrive ancora S. Paolo, allora sarebbe tutto vano (1Cor 15,12).

La morte è l'unica cosa certa della vita e, Rumi, il poeta mistico musulmano del 1200, ha scritto che questa sono le nostre nozze con l'eternità e i nostri defunti ci tenderanno la mano nel giorno delle nostre nozze e sarà un nuovo incontro.

Ma in questo giorno noi, cristiani, siamo chiamati a riflettere sul senso della vita, non a celebrare la morte. A questo ci invita Paolo nella pagina della sua lettera ai Romani e ci chiede di contemplare la situazione nuova di libertà nella quale ci troviamo grazie alla morte e risurrezione di Gesù che ci meritato la riconciliazione. Libertà dal peccato e dalla morte che ci tenevano prigionieri e ci ha permesso di partecipare in pienezza alla vita del Signore senza alcun merito e qui mi viene spontanea una domanda: su cosa ripongo la mia speranza ...

Noi cristiani non possiamo venire a patti con la morte o subirla e basta. È una sfida, un confronto al quale non ci si può abbandonare ignorandolo ma solo viverlo nella speranza, in un atto pieno di fiducia. 

Carlo Maria Martini, prossimo alla morte, ha confidato in una intervista tutto il suo disagio: "Io ho spesso rimproverato il Signore. Gli dicevo: perché tu che sei morto hai lasciato a noi la stessa necessità di morire? Potevi morire tu e poi dire: basta d'ora in poi passino tutti direttamente su quel ponte d'oro verso…. 

Ma poi ho capito. Ho capito che se non fosse così non avrei mai l'occasione di fare un atto di completo abbandono a Dio. Perché in tutte le altre forme di fiducia c'è sempre un'uscita di sicurezza. Invece qui non c'è e si può solo abbandonarsi completamente al Padre, nelle Sue mani, e credere nella risurrezione di Gesù. La morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio. Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo a occhi chiusi, alla cieca, mettendoci totalmente nelle sue mani". E subito dopo il cardinale aggiunto: "quel ponte d'oro… Il difficile avviarsi ma poi, si va!".


Quando vado in cimitero, non spesso ma più volte in un anno, mi prendo del tempo per poter girare per i campi con calma e mi fermo a immaginare chi possa essere stato quella persona che ora attende nella speranza o meno, non importa. Mi fermo in particolare sulle tombe abbandonate come quella nella foto qua sotto. Probabilmente, a guardare i peluche oramai anneriti dal tempo, era un bambino, non c’è una croce e questo passi, oramai i più non sono credenti, ma neppure una targa e nemmeno un nome …


(BiGio)




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