"Fermatevi, fratelli e sorelle, fermatevi! Fermatevi, fabbricatori di armi, fermatevi!"

Le tombe dei soldati uccisi in guerra non incitano all’eroismo, ma gridano: «Fermatevi, fabbricanti di armi!». Per la giornata del 2 novembre, commemorazione dei defunti, papa Francesco ha scelto di celebrare la messa al cimitero militare francese di Roma, dove ha colto l’occasione per condannare ancora una volta la guerra e gli armamenti.


di Luca Kocci in il manifesto del 3 novembre 2021

Prima una breve camminata fra i vialetti del Cimitière Militaire Français, a Monte Mario, dove sono sepolti 1.888 soldati francesi morti in Italia fra il 1943 e il 1944 nei combattimenti contro nazisti e fascisti (la maggior parte non è di origine francese, ma goumiers, soldati di nazionalità marocchina accorpati all’esercito francese, protagonisti anche di violenze contro le donne, soprattutto nel basso Lazio). Quindi una breve sosta presso la tomba di un soldato senza nome (inconnu), proprio mentre in Italia è a pieno regime la macchina propagandistica per le celebrazioni del centenario del milite ignoto. Infine l’omelia, durante la messa celebrata nel cimitero.

«Questa gente è morta in guerra, è morta perché è stata chiamata a difendere la patria, a difendere valori, a difendere ideali e, tante altre volte, a difendere situazioni politiche tristi e lamentabili. Sono le vittime della guerra, che mangia i figli della patria», ha detto il pontefice, parlando a braccio. «Sono stati chiamati dalla patria per difenderla», ha proseguito Francesco, «ma noi lottiamo sufficientemente perché non ci siano le guerre? Perché non ci siano le economie dei Paesi, fortificate dall’industria delle armi? Oggi la predica dovrebbe essere guardare le tombe: “Morto per la Francia”; alcune hanno il nome, poche altre no. Ma queste tombe sono un messaggio di pace: “Fermatevi, fratelli e sorelle, fermatevi! Fermatevi, fabbricatori di armi, fermatevi!”. Queste tombe, che parlano, gridano: “Pace!”».

Parole molto simili Francesco le pronunciò il 13 settembre 2014 a Redipuglia (Go), il più grande sacrario militare italiano della prima guerra mondiale – 100mila soldati sepolti, di cui 60mila senza nome -, voluto da Mussolini e inaugurato il 18 settembre 1938, lo stesso giorno in cui a Trieste vennero proclamate dal duce le leggi razziali. «La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!», disse allora il papa. E «dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi».

Proprio ieri è arrivato a Roma il «treno della memoria», che ha replicato il viaggio che, nel novembre 1921, portò la salma del milite ignoto dalla cattedrale di Aquileia a Roma, per essere tumulato al Vittoriano. Dove domani si svolgerà la solenne celebrazione propagandistica del centenario, con lo slogan: «La grandezza non ha un tempo e non ha un nome».

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