Quello di questa domenica è l’ultimo testo di Marco che viene proclamato in questo anno liturgico. Nelle ultime due domeniche ci sono stati presentati due atteggiamenti, due strade con le quali Marco si congedava da noi.
La prima è quella dell’amore di Dio e l’amore del prossimo nella risposta di Gesù allo scriba che gli chiedeva quale fosse il primo e il più grande dei comandamenti. Il commento di quest’ultimo, che affermava come valessero più di tutti gli olocausti ed i sacrifici, gli è valso l’apprezzamento del Signore che gli annunciava come in questo modo fosse già all’interno del Regno di Dio.
Oppure, la seconda strada, è quella portata in primo piano domenica scorsa nella quale, altri scribi, vivevano in contraddizione tra quello che dicevano e la loro vita. Il loro sguardo era rivolto solo verso sé stessi; invece quello di Gesù è verso quella vedova che, senza ostentare e attendersi nulla, metteva la sua vita nel tesoro del tempio.
Oggi ci vengono presentati i segni per riconoscere il ritorno definitivo del Signore nella storia degli uomini.
Innanzitutto si parla di una “tribolazione”. È il medesimo termine che abbiamo incontrato nel brano dell’Apocalisse della Festa di Tutti i Santi ed abbiamo visto come questa sia la nostra vita che ci è chiesto di vivere come la viveva la vedova di domenica scorsa: offrendola nel modo nel quale Gesù l’ha donata.
Dopo la tribolazione Marco ci presenta dei segni: “il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, gli astri si metteranno a cadere dal cielo, le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Con questo sembra volerci dire che non va cercato nulla dopo la realtà che conosciamo e ci è chiesto di vivere qui tutto quanto ci è donato perché Dio ha reso questa tribolazione, la sua storia che va verso il suo fine e non verso la sua fine.
Questa è l’unico spazio nel quale siamo chiamati a vivere: “In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose non siano avvenute”. Sia che si tratti della generazione contemporanea di Gesù perché attendevano la fine del mondo imminente; sia che se si tratti semplicemente del genere umano, in ogni caso il riferimento è alla realtà presente, perché è qui che accadrà l’incontro con il Signore.
In questa nostra tribolazione e solamente quando si capirà che non c’è dato altro tempo che questo, si vedrà il Figlio dell’Uomo venire e farà due cose: “Manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”.
“Angeli” è una parola che proviene dalla medesima radice di “evangelo”. È dunque una “buona notizia” che riunirà - da ogni dove - gli eletti del Signore che oramai è l’intera umanità, perché tutti lui ha riscattato con la sua morte e la sua risurrezione, rendendoci così tutti suoi eletti.
“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai”. I nostri idoli, i nostri dei passano, mutano di epoca in epoca, ma la buona notizia, l’Evangelo che ci ha donato, rimarrà sempre fino a diventare patrimonio di tutti.
“Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Gesù stesso non lo sa quali siano. Questo, rivela la sua totale fiducia nei confronti del Padre: si sente garantito dalla sua bontà e dal fare la sua volontà e ci invita a fare altrettanto affidandoci totalmente.
Tutti i momenti della nostra storia sono importanti. Così importanti che qualsiasi momento è buono per il Signore di incontrarsi definitivamente con noi. Gesù così ci invita a vigilare, a stare attenti e a saper discernere i segni dei tempi. Quell’insistere sullo stare svegli, quel non dormire, quel vigilare a cui ci esorta l’Evangelo è teso a far si che quel momento ci incontri “vivi”, intenti al nostro lavoro, impegnati nella quotidiana fatica della fede, nella speranza operosa d’amore e accoglienza verso tutti.
Questa notizia è uguale a quella che ci era stata data la prima domenica di Avvento di questo Anno Liturgico. In quell’occasione ci è stato detto che il Figlio dell’Uomo verrà come un ladro, non per farci paura, ma per dirci che tutti i momenti della nostra storia sono importanti, così importanti che Lui potrebbe sceglierne uno qualsiasi perché sia il momento dell’incontro definitivo con lui. Si tratta allora di svegliarci a questa certezza, come dice Daniele nella prima lettura di oggi, e di riconoscere in questa storia, in questo tempo, in questa tribolazione i segni allo stesso modo nel quale riconosciamo che l’estate è vicina quando i rami del fico mette le gemme delle foglie. Siamo cioè invitati a riconoscere i segni dei tempi per capire che anche questa nostra storia si sta aprendo fin da ora al Signore che viene.
Questo è il compito di una comunità credente, non cercare altri momenti oltre a questa esistenza, sapendo che l’unica cosa che ci capiterà sarà il vedere a tutti annunciato l’Evangelo che noi già possediamo e che non passa, senza preoccuparci di quale sarà il giorno o quell’ora, ma vivendo con fedeltà ed amore tutti i giorni e tutte le ore degli uomini che Dio ama e che noi siamo chiamati ad amare, anche quando facciamo fatica.
(BiGio)
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