Nessuna catastrofe della storia e del cosmo sta davanti all'umanità; se non quella, possibile, provocata dall'uomo stesso. Perché, in Dio, la storia va verso il suo fine, non verso la fine. Così, testi come quelli del Vangelo di questa domenica vanno compresi nel loro linguaggio e non applicati alla lettera.
Del resto, la seconda Lettura parla di un Cristo che ha portato a termine la sua opera di salvezza, e attende soltanto che essa si manifesti pienamente: «Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi». Questa attesa inoperosa del Cristo è un'immagine per dire che tutto ciò che Egli doveva compiere a favore dell'uomo è definitivamente portato a termine con la sua Pasqua. Ora sta lì, a godersi lo spettacolo della sottomissione dei «suoi nemici»: tutto ciò che si oppone alla sua opera. Tanto è vero che la sua azione ha già operato una totale trasformazione della nostra condizione umana: «Con un'unica offerta Egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati». Noi, poveri esseri umani, così deboli, fragili, condizionati dal male siamo già «perfetti», tanto è efficace e totale dell'opera di Cristo in ciascuna persona. Allora credere in Gesù Cristo comporta credere in tale «trasfigurazione» della nostra miseria in conformità alla bellezza della sua umanità, che Egli opera in ciascuno di noi (cfr. Fil 3,21).
(Alberto Vianello)
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