La tradizione tramanda molti particolari della vita di S. Luca che però non trovano riscontri nel Nuovo Testamento. Di fatto non sembra nemmeno che il “caro medico” di cui parla Paolo nella Lettera ai Colossesi (Col 4,14) sia l’evangelista. Più importante sarà quindi evocare oggi la specificità del vangelo che porta il suo nome.
Il prologo del suo Vangelo è significativo. Unico fra gli evangelisti, l’autore vi si presenta utilizzando la prima persona del singolare (“io”) e vi appare come un rappresentante della terza generazione, dopo i “testimoni oculari”, che furono i primi “ministri della Parola”, e dopo i “molti” che cercarono di mettere ordine in ciò che i primi avevano detto. Dopo di loro, il nostro autore ha infine deciso di fare ricerche accurate per redigere un racconto il cui scopo non era di correggere i precedenti, ma di permettere a Teofilo e a ogni lettore “amico di Dio” – tale è il significato del nome “Teofilo” – di verificare la solidità dell’insegnamento ricevuto.
Il suo quindi non è un vangelo di prima evangelizzazione, ma di approfondimento della fede, di crescita spirituale. Tre almeno i campi sui quali l’evangelista punta la sua attenzione.
Anzitutto il pericolo delle ricchezze: più volte l’evangelista torna su questa tentazione, denunciando chi è “attaccato al denaro”, smascherando la cupidigia di chi si dice frustrato nella spartizione di un’eredità (cf. Lc 12,13-15), narrando di quel ricco che banchettava senza vedere il povero che ogni giorno era “gettato” alla sua porta (cf. Lc 16,19 ss.) o sottolineando il ruolo particolare dei poveri. È pure lui che rileva l’importanza della condivisione dei beni nella prima comunità cristiana (cf. At 2,44-45).
Vi è poi in questo vangelo una forte insistenza sulle figure femminili: diverse scene “al maschile” sono poi ripetute “al femminile”, fino a presentare delle donne discepole, come Maria Maddalena, Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode, Susanna e molte altre (cf. Lc 8,2-3), o Maria, sorella di Marta (cf. Lc 10,39). Non stupisce quindi che, nell’alba di Pasqua, siano almeno cinque le donne che ricevono l’annuncio che il Crocifisso è vivente (cf. Lc 24,10), mentre erano solo due nel Vangelo secondo Matteo (cf. Mt 28,1), o tre nel Vangelo secondo Marco (cf. Mc 16,1) e addirittura una sola in quello giovanneo (cf. Gv 20,1).
Una terza caratteristica, forse non estranea alle presenze femminili appena evocate, è l’insistenza con cui il vangelo lucano sottolinea la misericordia del Dio di cui Gesù è l’araldo e il volto. Pensiamo solo al grande capitolo 15, in cui sono narrate le famose parabole della misericordia, ma anche all’importanza della “compassione”, evocata con il termine greco splánchma che, prima di designare le “viscere di misericordia” del nostro Dio (Lc 1,78), qualifica l’utero della donna.
Questi sono tutti temi sui quali noi e le chiese possiamo ancora interrogarci oggi.
(fr Daniel Attinger) .
Nessun commento:
Posta un commento