“Inizio da me” – hanno concordato un gruppo di uomini maschi, qui in questa chiesa della Risurrezione a Marghera, l'8 marzo 2021, parroco compreso. Si stava svolgendo una Veglia diocesana contro la violenza sulle donne ed è stato appoggiato un vestito rosso che non è stato più rimosso da quel “Posto vuoto”, richiamo “ossessionante” (così l’ha descritto un’anziana signora che chiedeva di toglierlo dopo un po’ di mesi). Quella sera è nato un “Appello di uomini” che qui si ripropone.
In occasione della veglia organizzata dal Consiglio Locale delle Chiese cristiane di Venezia nella nostra comunità della Resurrezione per lunedi 8 marzo 2021, ci siamo sentiti interpellati come uomini, di età e provenienze diverse, non solo dal tema dell’incontro ma dalla sempre più tragica attualità e ipocrisia che avvolge i tantissimi episodi di violenza sulle donne.
Ultimo solo in ordine di tempo a Trento, l’uccisione di Deborah Saltori.
Per questo abbiamo pensato che è semplicemente un nostro dovere di sostare a riflettere-riconoscere la responsabilità-non tacere.
Abbiamo letto l’Appello scritto a Trento da una trentina di uomini, tra cui don Cristiano Bettega, già direttore dell’ufficio nazionale dell’ecumenismo e dialogo interreligioso.
Abbiamo pensato di riscriverlo e sottoscriverlo per presentarlo alla Veglia di lunedi prossimo 8 marzo 2021 nel nostro quartiere.
La violenza contro le donne non è una questione che riguarda altri. È un problema di noi uomini. È ora di prenderne atto. Riguarda mariti ed ex mariti, compagni che non lo sono più, parenti e amici che si rivelano aguzzini. Riguarda tutti noi uomini, compresi noi presbiteri di comunità religiose. Maschi spesso incapaci di gestire la frustrazione di un abbandono, di accettare la libertà delle donne, di convivere con l’autonomia femminile e che senza alcuna giustificazione insultano, aggrediscono, picchiano, uccidono.
E non ci si può giustificare con l’incapacità di controllare la rabbia. Il problema è molto più profondo e affonda le sue radici in una società e in una cultura in cui la prevaricazione maschile, l’asimmetria della relazione, l’assenza della parità di genere sono fenomeni socialmente accettati.
Siamo noi uomini gli attori di comunità che ancora oggi non riconoscono l’uguaglianza e la pari dignità tra uomini e donne e in modo più o meno esplicito sdoganano offese sessuali, insulti sessisti e fanno passare come normale un linguaggio che offende la dignità delle donne.
Ci ispiriamo e sottoscriviamo le intenzioni dell’Appello di tanti uomini che a Trento hanno ammesso la loro responsabilità nel mantenere la logica del patriarcato, in occasione della brutale uccisione di Deborah, ammazzata dall’ex compagno, solo l’ultima in un elenco drammatico di violenza di fronte a cui dobbiamo sentirci chiamati in causa in prima persona. E non bastano più le parole di circostanza.
Vogliamo sentirci responsabili di non aver educato i nostri figli alla cultura del rispetto e non aver sostenuto le nostre figlie, amiche, compagne nella loro lotta per l’uguaglianza, per essere rimasti in silenzio di fronte a parole e azioni che feriscono e uccidono. Responsabili dei nostri silenzi, dei nostri linguaggi escludenti e delle nostre azioni inadeguate o ipocrite.
Noi uomini, mariti, figli, padri, presbiteri, giovani e anziani, siamo chiamati ad una netta assunzione di responsabilità pubblica, una presa di coscienza e un’azione a fianco di tutte le donne per costruire da oggi, ciascuno di noi nella propria dimensione privata e nell’esercizio del proprio ruolo sociale, una società che condanna la violenza di genere, che si impegna a fianco delle donne per costruire una cultura del rispetto delle differenze.
Servono condanne, ma serve soprattutto che noi uomini agiamo dentro le nostre famiglie, sui luoghi di lavoro, nei luoghi della politica e dell’informazione, nelle comunità cristiane, nelle aule legislative, nei tribunali per costruire una svolta nei comportamenti di ciascuno di noi. Serve fare educazione alle pari opportunità e contro la violenza sulle donne in tutte le scuole.
Le nostre mani non siano più armi, ma strumenti per costruire una società in cui la parità e il rispetto tra i generi diventino realtà ogni giorno.
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