Come mai Matteo cuce insieme tre parabole simili sul rifiuto?

Terza e consecutiva parabola sul rifiuto. In quella dei due figli - uno dice no e fa sì, l'altro dice sì e fa no - Gesù concludeva che prostitute ed esattori delle tasse vi passano avanti nel regno di Dio. In quella dei contadini che uccidono l'erede, Gesù denuncia che la vigna sarà tolta a quegli assassini: ne diventerà responsabile Lui, Gesù, che i capi hanno scartato, ma il Padre lo ha reso pietra di riferimento per la costruzione. Segue questa terza parabola, quella della grande cena di nozze, a cui gli invitati si rifiutano di andare, allora l'invito arriva a tutti, ai crocicchi delle strade, «cattivi e buoni». C'è da chiedersi come mai Matteo cuce insieme tre parabole simili.


Forse l’evangelista vuole insistere nel mettere in guardia dal rischio di essere sostituiti al banchetto da altri, esattori e prostitute. Noi abbiamo una dignità, noi abbiamo la civiltà, noi abbiamo la coscienza di Dio… Ma il re dice: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni». La dignità non sta nell'invito: essere onorati, come bravi cristiani; sta, invece, nel partecipare al banchetto a cui si è invitati. L'invito esprime tutta la gratuità del re, ma esserne oggetto non pone in condizione di valere per se stessi. In definitiva, gli invitati che hanno rifiutato sono quei credenti che si sentono già onorati dall'aver ricevuto l'invito (la fede), ma ai quali non interessa, in realtà, di venire a far festa con il re.
 
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio». Quello che ci è chiesto, come veri credenti, è essere disponibili a far festa. Da quando la Chiesa si è dimessa dall'assiduità alle Scritture, si è portata dietro una tradizione che fa della vita cristiana una triste via di rinunce, di sacrifici, di mortificazioni. È vero che dobbiamo aver sempre dinanzi a noi il nostro peccato, ma la fede che nasce dall'ascolto del Vangelo deve porci nella gioia, nel piacere: perché è quello che facciamo quando partecipiamo alle nozze.
Ma sono i piccoli quelli che sanno spontaneamente gioire: perché i verbi sono partecipare, lasciarsi coinvolgere, gioire della gioia degli altri. Pur nelle difficoltà della vita dovremmo avere la serenità di chi sa che è destinato solo quello: partecipare alle nozze di Dio per il suo Figlio. Un cristiano non lo si vede nell'impegno morale, ma nel saper gioire, perché vede, anche nelle cose piccole, la presenza e l'azione del Signore che trasforma questa storia tragica in storia della salvezza.
 
Nel racconto della parabola, stupisce, innanzitutto, l'insistenza del re: manda i suoi servi a chiamare gli invitati, poi ne manda altri perché non hanno ascoltato l'invito, poi, di fronte all'insistenza nel rifiuto, manda i servi lungo le strade, oggi diremmo ai semafori delle strade, dove ci sono i lavavetri e chi ci chiede la carità. Per il re, la sala delle nozze deve essere riempita. È come se questo re avesse un'idea fissa, un disegno che vuole realizzare a tutti i costi: che, alle nozze del figlio, la sala sia stracolma. È l'idea fissa di Dio, il suo sogno: vuole la salvezza di tutti i suoi figli e vuole che questa, cioè il Regno, sia rappresentata dal segno bellissimo del banchetto. Quindi il Regno non è solo vigna, cioè lavoro e impegno: è anche festa, convivialità, godimento.
E, di fronte al rifiuto degli invitati, Dio non si scoraggia, trovando tale ostacolo: decide di allargare il disegno, il sogno. Ed è un tratto stupendo di Dio. I figli dovrebbero imparare, noi nella Chiesa dobbiamo imparare da questo padre. Noi che, quando troviamo una resistenza, un ostacolo, chiudiamo porte e finestre, quando sembra che quelli di fuori non capiscano e non accolgano. Invece Dio apre, allarga, trova vie nuove. Così è Dio, così devono essere i suoi figli: allargare il disegno.
 
Ma la parabola vuole rivelare non solo il sogno grande di Dio, ma anche la parte dell'uomo. Il fatto che prevalga su tutto e su tutti la grazia divina, «cattivi e buoni», perché tutti partecipino al banchetto (è questo il cuore del Vangelo), non significa che Dio faccia di noi dei burattini inermi nelle sue mani. Tocca a noi rispondere, tocca a noi indossare la veste.
Dunque la parabola ha, al cuore, la dinamica "dal dono alla responsabilità". L'abito nuziale è il prezzo della grazia: lasciarsi trasformare dal dono gratuito di Dio. C'è una risposta che il chiamato deve dare all'invito: si deve entrare in sintonia con il Signore. Semplicemente lasciandosi amare e trasformare da Lui. Chi è stato preso dai semafori delle strade è oggetto della gratuità e della benevolenza di Dio. Ma, a quel banchetto, il Signore lo fa diventare una persona così significativa da essere capace di nobilitare le nozze. In definitiva, è ciò che avviene nel nostro battesimo: siamo stati rivestiti di Cristo, e passiamo la vita a rivestirci sempre più di Lui. Non ci sono chiesti i miracoli, ma di riconoscere quel miracolo che sono le cose buone che riusciamo a fare e - almeno guardando a me stesso - si riconosce, con lieta sorpresa, che non vengono dalla nostra povera umanità, ma dal essere rivestiti della sua stessa umanità.
 
(Alberto Vianello)

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