Una esortazione anche a noi oggi a non sprecare quel dono di Dio che è la chiamata alla sequela

Il desiderio di imporre la nostra volontà, di comandare, insieme al desiderio di accumulare beni, sono le forme dell’istinto che potrebbero dominarci tutti, se non facciamo un cammino di liberazione interiore che ci porti a costruire rapporti di uguaglianza e solidarietà concreta. Questi moti istintivi producono molti più danni, quando le religioni li giustificano in nome di Dio.


Gesù narra la dura parabola dei vignaioli omicidi negli ultimi giorni della sua vita, nell'estremo confronto nel tempio stesso di Gerusalemme. La rivolge alle più alte autorità religiose, ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo. Erano loro che affittavano "la vigna", cioè il popolo che Dio aveva protetto con tanta cura e affetto. Questo speciale amore di Dio era stato cantato dal profeta Isaia: "Il mio amico aveva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgomberata di sassi, e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino". I sommi sacerdoti e i capi del popolo non sono i "proprietari", ma, come i loro predecessori, fanno tutto il possibile per impadronirsi dei frutti della vigna: picchiano, uccidono, lapidano i servi del padrone, i profeti inviati da Dio, e alla fine decidono di uccidere il figlio: "Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!". È l'annuncio della morte di Gesù: "Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero", come prevedeva il libro del Levitico per i bestemmiatori.

La parabola si ispira a fatti noti: le rivolte dei contadini, che di tanto in tanto si alzavano contro i latifondisti stranieri. Gesù parte da quell'esperienza per dare un altro insegnamento. La parabola è fin troppo chiara: i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo “capirono che parlava di loro". Sarebbero disposti a tutto per raggiungere i loro obiettivi, mantenere il potere e aver cura dei loro interessi, decisi a compiere ciò che dice la parabola, ad uccidere il figlio, se non li fermasse per ora la paura del popolo: "Ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta". Vogliono essere loro i padroni della vigna e appropriarsi dei suoi frutti.

Il vangelo di Matteo non vuole che ci limitiamo a un giudizio sui dirigenti ebrei, che respinsero e uccisero i profeti e crocifissero Gesù; vuole far riflettere la sua comunità, perché la tentazione del potere è permanente, e per tutti. E la minaccia: "quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini" è in realtà un'esortazione a non sprecare il dono di Dio, la chiamata alla fede e alla sequela di Gesù: "Egli si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi” (Is 5, 7). 

Gesù è "la pietra d’angolo": la pietra che può essere rifiutata, per alcuni "pietra d'inciampo", come aveva già profetizzato l'anziano Simeone, quando Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio, quaranta giorni dopo la sua nascita: "Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione". Oppure può essere la pietra scelta per la costruzione del vero tempio di Dio, "un popolo che ne produca i frutti", opere di giustizia, di equità, di misericordia e tenerezza, di pace e di amore. 

E come Gesù, altre pietre scartate troveranno il loro posto nel tempio di Dio, "i pubblicani e le prostitute", gli esclusi dalle culture dominanti, dalle religioni e dalle politiche, i portatori del sogno di un'umanità nuova, riconciliata, giusta e pacifica, in armonia con tutta la creazione.

(Bernardino Zanella)

 

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