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Piangere su Gerusalemme

La memoria storica di Israele sa bene che cosa vuol dire la strage di bambini, è il punto più alto della vendetta: è stata la sua invettiva contro Babilonia (“Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra”), il suo ricordo della distruzione di Ninive, “la città sanguinaria” (“Anche i suoi bambini furono sfracellati”), l’oracolo su Samaria (“Periranno di spada, saranno sfracellati i bambini”), ed è il miraggio di una vittoria che, attraverso i piccoli, si proietta sul futuro.

E questo è ora l’orrore che soffre Israele (e il mondo con esso) dopo il racconto dei militari israeliani su ciò che hanno trovato nel kibbutz di Kfar Aza devastato da Hamas. E la conclusione non può essere che una sola: mai più la vendetta, mai più la vittoria nella soppressione dell’altro. Facciamo allora come Gesù di Nazaret, dinanzi allo scempio che dilania la Palestina, diciamolo noi suoi discepoli, anche se non piace ai laici, ai non credenti e ai post-teisti che si nomini il figlio di Dio in un giudizio politico: ma se non ora, quando? Apriamo dunque il Vangelo e leggiamo che Gesù, ebreo di Galilea, salendo a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Gerusalemme, se tu avessi conosciuto ciò che giova alla tua pace!”. Così oggi, come allora Gerusalemme non ha capito dove fosse la sua pace, ha creduto che fosse nella vittoria, mentre la guerra ora caduta su di lei è proprio il salario della vittoria....

La riflessione di Raniero La Valle continua a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231011lavalle2.pdf



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