Nei testi più antichi della Scrittura raramente l'amore viene attribuito a Dio. Gesù invece lo definisce come la pietra angolare sulla quale si fonda tutta la Legge e tutti i Profeti
Lungo questo anno liturgico siamo stati accompagnati prima alla scoperta di Gesù, poi del suo messaggio, quindi nelle sue istruzioni su come vivere con e nella Comunità dei discepoli. È iniziato infine un percorso per introdurci alla comprensione di cosa sia quel “Regno dei cieli” al quale siamo chiamati a partecipare e realizzare nel nostro oggi.
In queste ultime domeniche, prima della festa di Cristo Re, attraverso il racconto di alcune dispute ci viene presentato una sintesi del messaggio evangelico in forme apodittiche. La scorsa settimana in quel “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” mentre, in questa XXX Domenica, al centro viene posto non tanto il “Comandamento più grande” come ci propone il testo liturgico, quanto quale sia il “Comandamento, quello grande nella Legge”.
Abbiamo visto come, per cercare di mettere in difficoltà Gesù, i Farisei si erano alleati con gli Erodiani con i quali normalmente non correva proprio del buon sangue e assieme avevano inviato una delegazione di loro discepoli ma si era dimostrata del tutto inefficiente al compito affidato.
Questa domenica i Farisei cambiano “formazione”, anche questa volta unendosi a degli “avversari” in campo teologico e spirituale: gli Scribi. Non mandano però dei semplici discepoli, bensì un Dottore della Legge, un esperto teologo, il miglior biblista che avevano a disposizione. Lo scopo è sempre quello di screditare Gesù agli occhi dei suoi discepoli e di coloro che avevano iniziato a seguirlo. Questo aveva tolto loro autorevolezza e, quello che a loro più importava, il potere che fondavano sul “si è sempre fatto così” e sul “si è sempre detto così”.
Sono posizioni che possiamo individuare senza alcuna difficoltà anche oggi nella Chiesa, non solo ad alti livelli nelle discussioni teologiche o tra vescovi “aperti” e quelli “tradizionalisti”, ma anche nelle nostre Comunità. È esperienza di tutti quanti “radicalismi” piccoli o grandi ci sono nelle convinzioni e nella spiritualità di ciascuno che a volte difendiamo a spada tratta. Anche nel Sinodo in corso sono presenti e, se si sta seguendo il dibattito in fieri, lo si distingue senza dover scendere a comprendere grandi sottigliezze.
Questo Dottore della Legge non chiede a Gesù quale sia il più grande fra tutti i Comandamenti, ma “quale è il comandamento, quello grande nella Legge”. Lo fa interrogandolo “per metterlo alla prova”: è la medesima azione che il diavolo aveva fatto nel deserto subito dopo il Battesimo. All’epoca c’era un grande dibattito su quale questo fosse tra i 613 precetti che hanno sviluppato il Decalogo sminuzzandolo per renderlo aderente ad ogni azione del credente. Per lo più il consenso si accentrava su quello che anche Dio rispetta: il riposo sabbatico (in proposito il Talmud afferma che quando per due sabati di seguito tutti gli ebrei rispetteranno completamente il Sabato, il giorno seguente verrà il Messia).
Erano certi che Gesù lo avrebbe detto e di rimbotto gli avrebbero chiesto perché allora lui non lo rispettava e c’era la possibilità della pena di morte per chi non lo faceva.
Gesù però non risponde come lui si aspettava e va alla radice riproponendo il nucleo fondante dell’intero suo messaggio che vuole liberarci da una concezione di sudditanza, di paura verso Dio e guidarci alla presa di coscienza del suo amore incondizionato, quindi: “Amerai…”
Questo verbo nella sua radice ricorre 248 volte nel Pentateuco ed è sorprendente che, nei testi più antichi, l’amare raramente viene attribuito a Dio. Gli vengono piuttosto attribuite reazioni e azioni “forti” come lo sdegnarsi, l’ordinare, il comandare, il fare alleanza, il pentirsi. È però vero che quella radice contiene anche delle sfumature erotiche, inammissibili in Dio.
Bisogna attendere i Profeti per avere la similitudine del rapporto tra Dio e il suo popolo come l’amore in una coppia di sposi (Osea), come anche quella del padre e della madre quando il popolo si lamenta: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato” e Lui risponde “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Ma anche se queste donne si dimenticassero, io di te non mi dimenticherò mai” (Is 49,14-15).
Nella sua risposta Gesù si richiama allo Shemà (Deut 6,4-5) che gli ebrei pregano tre volte al giorno: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima (qui in Matteo Gesù modifica il testo) con tutta la tua mente”. Chi ama una persona viene guidato dal desiderio di conoscere sempre di più e sempre più intimamente la persona amata. È questo che fa passare dall’innamoramento all’amore nella sua pienezza. Non è solo emozione come non lo è la fede. Per questo è importante la frequentazione della Scrittura, approfondirla, studiarla, farla risuonare nella nostra vita facendola propria.
A sorpresa Gesù poi ne aggiunge un secondo facendo riecheggiare Lv 19,18: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. È l’amore che deve guidare il credente non l’obbedienza. Questo ultimo termine negli Evangeli non è mai usato come un atteggiamento da avere verso Dio; a Gesù obbediscono gli spiriti impuri, le onde, il vento … non chiede mai obbedienza ai discepoli, chiede di seguire il suo esempio, di amare come lui ci ha amato. Quindi non un semplice sentimento, ma il farsi prossimo nella concretezza del bisogno dell'altro.
“Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e tutti i Profeti”, sono la pietra angolare sulla quale trova fondamento tutta la Legge (il Pentateuco) e tutti i Profeti: l’amore verso Dio che non può non tradursi nell’amore verso i fratelli. È quello che attesta anche S. Giovanni nella sua prima lettera al cap 4,7-13.
(BiGio)
(BiGio)
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