Una prima valutazione di due aspetti delle Proposizioni Sinodali: la liturgia e la partecipazione delle donne alle vita della Chiesa. Con alcune sorprese non da poco.
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- Comunità Energetica: cos'è e come partecipare
Una prima valutazione sulle conclusioni del Sinodo: alcune sorprese non da poco
Domande per “ristrutturare” una parrocchia
Gli Atti degli Apostoli possono essere ancora oggi una guida per l'ineludibile rinnovamento della vita parrocchiale?
L'intervento di William Dal continua a questo link:
https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/domande-per-cambiare-la-parrocchia/
A Napoli certi ragazzi non hanno più il vento negli occhi
Fateci caso: certi ragazzi non hanno più il vento negli occhi. Quando un 15 enne muore ammazzato e altri due uagliuncielli di 14 e 17 anni finiscono in ospedale dopo una sparatoria è difficile dire me l’aspettavo. E però si, me l’aspettavo. E mi aspettavo che accadesse proprio lì, vicino a Piazza Mercato in una traversa del cosiddetto “rettifilo”, strada simbolo del Ventre di Napoli di Matilde Serao.
Non mi metterò a fare sociologia ad un tanto al chilo che tanto le chiacchiere non servono a niente. Vi dico che se la sera passo da quelle parti, e ci sono passata spesso anche per farci delle riprese, ho visto le giostre dei motorini, le bande, i riti, gli inseguimenti, le ragazze usate per portare le armi ed evitare i controlli (come mi hanno raccontato). Piazza mercato, dove a 16 anni fu decapitato Corradino di Svevia, dove c’era (e non c’è più) il commercio della città, la piazza della befana, è da anni un ring. Non ha insegnato niente la morte di Gaetano Montanino, assassinato proprio a piazza Mercato da ragazzini per portargli via la pistola che aveva in dotazione da guardia giurata. Non ha insegnato niente l’esempio di...
La riflessione di Amalia De Simone continua a questo link:
Cresce il divario tra i Paesi nordamericani e gli altri.
L’approfondimento di Confindustria e Deloitte elaborato in occasione della G7 Industry Stakeholders Conference, organizzata a margine della ministeriale G7 sullo Sviluppo prevista a Pescara dal 22 al 24 ottobre
Chiesa sinodale, perché non ci sono più porti sicuri.
Passare da reale gerarchico-piramidale a struttura che recuperi la sua dimensione assembleare, che ovviamente conserva uno scheletro, cioè una gerarchia ecclesiale, ma recupera anche la dimensione carnale, quella fatta dai battezzati, laici, protagonisti nella e della vita della Chiesa. Questa la sfida al centro della seconda assemblea sinodale, sulla sinodalità.
La rimozione del grande nodo, il ruolo delle donne nella Chiesa, ha fatto passare in ombra la seconda assemblea sinodale sulla sinodalità, che invece merita comunque attenzione se la si riuscisse innanzitutto a capire.
Essa oscilla tra una riforma che non può essere scritta o formalizzata, quella dei cuori, e un cambiamento strutturale: passare da reale gerarchico-piramidale a struttura che recuperi la sua dimensione assembleare, che ovviamente conserva uno scheletro, cioè una gerarchia ecclesiale, ma recupera anche la dimensione carnale, quella fatta dai battezzati, laici, protagonisti nella e della vita della Chiesa.
In questo modo la Chiesa non è sarebbe più clericale, ma opera collettiva di laici e ordinati. La scia è affascinante perché equivale a riaffermare l’unità nelle diversità, un modo di vedere il mondo che si oppone ai prevalenti nazionalismi contrapposti in blocchi di ferro. Ci si riuscirà?
Il commento di Riccardo Cristiano continua a questo link:
Tra foto instagrammabili e turismo di massa: cosa si nasconde davvero dietro la produzione di lavanda in Spagna
Nonostante il forte richiamo turistico, i coltivatori di lavanda in Spagna, lottano per la propria sopravvivenza
Quando si parla di lavanda, la mente vola immediatamente in Provenza ma forse non sapete che anche in Spagna esiste una zona dove le coltivazioni di lavanda non solo offrono uno spettacolo visivo mozzafiato, ma rappresentano anche una tradizione agricola profondamente radicata. Parliamo dei campi di lavanda di Brihuega, nella regione di Guadalajara che, proprio come in Provenza, nei caldi mesi estivi, si trasformano in un luogo magico, attirando turisti da ogni parte del mondo con le loro spettacolari distese di fiori color malva, perfette da condividere su Instagram. Ma dietro questa bellezza si nasconde una realtà ben diversa...
L'articolo di Francesca Biagioli continua a questo link:
Non chiamiamolo più “maltempo”
È inammissibile, davanti agli eventi climatici estremi continuare a usare termini che ci deresponsabilizzano. Riprendendo Amitav Ghosh, “la mano invisibile del fato” che conduce alla catastrofe è frutto del nostro sistema economico. Che ci ostiniamo a portare avanti
L'articolo di Valentina Gentile è a questo link:
https://www.sapereambiente.it/interventi/non-chiamiamolo-piu-maltempo/
La “missione” di Taizé sui fronti di guerra. Fr. Matthew: “A fianco di chi soffre, per non spegnere la speranza”
Dal 25 settembre al 7 novembre è in corso una "missione" di Taizé in Ucraina. Da Kiev, a Poltava, Zaporizhzhia, Dnipro Odessa…sono tre i fratelli della comunità che stanno viaggiando per il Paese, andando incontro alle comunità e ai giovani.
È fr. Matthew, priore della Comunità di Taizè, a spiegare al Sir i motivi che hanno spinto la Comunità ad intraprendere questa iniziativa: "La cosa che veniva chiesta più volte, è: non dimenticateci. Raccontate cosa avete visto e fate sapere quello che stiamo vivendo. Perché questa è la grande paura: essere abbandonati".
Il racconto raccolto da Maria Chiara Biagioni è a questo link:
Nella XXX Domenica PA abbiamo pregato così ...
Introduzione
In questa XXX domenica del T.O. il vangelo di Marco ci racconta la guarigione del cieco di Gerico, ossia di Bartimeo, figlio di Timeo, mentre Gesù inizia la sua ascesa a Gerusalemme. La prima lettura mette in luce la gioia degli esuli che ritornano in patria, come opera esclusiva della salvezza di Dio e la seconda lettura descrive la figura del sacerdote, come intermediario tra Dio e gli uomini, che trova il suo culmine nel Cristo.
Bartimeo non solo era diventato cieco, peggio che essere sordo, ma era pure un clochard. Per la mentalità ebraica la cecità era considerata una malattia ripugnante, simbolo di peccato, i ciechi erano persone inermi, escluse ed emarginate dalla società. Bartimeo, non potendo lavorare, si era messo a sedere e mendicare sulla strada che portava da Gerico a Gerusalemme. Appena sente che sta arrivando Gesù, si alza in piedi, getta via il mantello, che nella Bibbia simboleggiava la dignità, totalità ed essenza della persona, gridando e chiamando con forza Gesù. Simbolicamente rinuncia al suo passato, per aprirsi alla speranza del futuro. Scandalo! Come si permette Bartimeo di disturbare il Maestro, fatelo stare zitto! Ma niente da fare, Bartimeo, riconoscendosi debole e bisognoso di aiuto, comincia a gridare ancora più forte: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me” (Mc 10, 47-48), fra tutte è la preghiera più umana, cristiana ed evangelica, rimasta nelle nostre liturgie nel “Kýrie eléison” o nel “Signore pietà” dell’atto penitenziale.
Gesù ordina ai discepoli di chiamarlo e non forza Bartimeo ma lo lascia libero di decidere e di chiedere ciò che gli sta più a cuore e lui dice: “Rabbunì, che io veda di nuovo” (Mc 10,51b), lo chiama “Rabbunì”, che vuol dire affetuosamente Maestro mio, lo stesso termine che userà Maria Maddalena quando incontrerà Gesù risorto nel giardino accanto al sepolcro (Gv 20, 16b,17).
Nell’esaudire la richiesta accorata di Bartimeo, Gesù esercita la virtù della carità con sollecitudine e tenerezza, ossia di coloro che si mettono a disposizione degli altri, per realizzare i loro desideri più profondi. Quando si è amati, ci si sente fortissimi.
Bartimeo passa da essere un vagabondo, cioè da andare in giro a dove gli capita, ad essere un pellegrino di speranza, ossia ad avere un punto di arrivo, uno sguardo rivolto verso Gesù.
Papa Francesco ha intitolato la bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit” ossia la speranza non delude e non illude. Gesù dirà a Bartimeo “Và, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,52a), ossia viene giustificato per fede, reso giusto, messo nel giusto rapporto e nella giusta relazione con Dio e con i fratelli e sorelle, la sua fede lo riconcilia con Dio e gli dà pace. Papa Luciani, ossia Giovanni Paolo I, diceva che la speranza è una virtù “obbligatoria per ogni cristiano” (Udienza generale 20/09/1978).
Bartimeo quindi porta in sé le tre virtù teologali, fede, speranza, carità, ricordandoci che la dignità di ogni persona umana va difesa, accolta, compresa. Ognuno di noi, nessuno escluso, porta in sé il sigillo e la luce di Dio.
Intenzioni Penitenziali
Signore ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che non abbiamo superato gli ostacoli e le difficoltà della vita, con gli occhi della fede
Signore pietà
Cristo perdonaci quando non ti abbiamo saputo riconoscere e non ti abbiamo seguito “lungo la strada” (Mc 10, 52b)
Cristo pietà
Signore ti chiediamo perdono per tutte quelle volte che abbiamo messo a tacere chi ti cercava e non abbiamo favorito l’incontro con te
Signore pietà
Preghiere dei fedeli
Preghiamo dicendo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Per la Chiesa perché sia sempre pronta e fedele interprete del comando di Gesù: Chiamatelo! Chiamateli tutti! Che possa far sempre risuonare la parola di Gesù: “Coraggio! Alzati ti chiama!” (Mc 10, 49b)
Preghiamo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Preghiamo con le parole di Papa Francesco, perché con l’impegno verso le persone svantaggiate, verso i poveri, verso coloro che sono tribolati dalle guerre e dalle carestie, in particolare la bombardata Terra Santa e la martoriata Ucraina, “possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volontario di dedizione ai poveri”. (Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri 19 novembre 2023)
Preghiamo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Oggi 27 ottobre ricorre la 23a Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, uniamoci all’appello del Dicastero per il Dialogo Interreligioso: “Cari fratelli e sorelle musulmani, uniamoci per spegnere il fuoco dell’odio, della violenza e della guerra, e accendiamo invece la dolce candela della pace, attingendo alle risorse per la pace che sono presenti nelle nostre ricche tradizioni umane e religiose.” (15/03/2024)
Preghiamo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Preghiamo con le parole di P. David M. Turoldo: “Signore, ora ti vogliamo pregare, per tutti i deportati della terra, per tutti gli esiliati dai loro paesi, per la gente di ogni colore, per i poveri figli della Notte sradicati dalla loro Africa, così soli e smarriti in queste città di bianchi ... e poi per il "piccolo resto" di fedeli: che continuino a credere, Signore!”
Preghiamo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Un anno fa il 26 ottobre tornava alla casa del Padre la nostra sorella Elina, preghiamo per tutti i nostri cari, per coloro che ci hanno lasciato in quest’anno e per coloro che hanno fatto parte della nostra comunità, donandoci il loro tempo, amore e saggezza: Elina; Matilde; Raffaella; Monica e Ada; Salvatore e Aurora; Guerrino; Sergio; Giacomo; Fernanda; Vanda; Pino (papà di Gianna); Giampaolo (marito Linda); Manuela (moglie di Alberto); Lucia (figlia di Sara); Marius; Ruggero; Dimitri; Teresa; Claudio; Silvana; Bruna; Giovanni; Aldo; Anna Maria; Pierina; Lucia. Signore illumina le loro anime con la pace della tua luce.
Preghiamo: Dio di misericordia, ascoltaci!
Antifona di comunione
Preghiamo insieme con l’antifona di comunione che sottolinea la continuità e l’unità della celebrazione: dalla mensa della Parola alla mensa Eucaristica.
“«Rabbunì, Maestro, che io veda di nuovo». «Va’, la tua fede ti ha salvato»”. (Mc 10,51-52)
XXX Domenica PA - Mc 10,46-52
“Che vuoi che io ti faccia?” la risposta è “Che io veda di nuovo”: aveva perso la capacità di “vedere la Parola" che significa il realizzarla: è questo che Timeo chiede e riceve.
Il brano di Evangelo di oggi ci fa transitare progressivamente dal ministero in Galilea di Gesù alla sua ultima settimana a Gerusalemme dove concluderà la sua vita. Fino ad ora Marco ha raccontato, coinvolgendoci, la domanda che si ponevano chi lo incontrava su chi fosse (Mc 4,41) fino alla quella posta da Gesù “Chi dice la gente e voi chi io sia”, i conseguenti suoi insegnamenti per far comprendere meglio le esigenze della sequela e i comportamenti conseguenti. La pericope di oggi con l’episodio della guarigione del cieco di Gerico mentre “partiva” da quella città, ne è una mirabile sintesi e vale la pena di soffermarcisi. Marco qui usa lo stesso termine adoperato per l’uscita degli ebrei dall’Egitto e già questo ci indica quale tipo di cammino stia compiendo Gesù (di liberazione alla testa dei discepoli). Come è significativo che senta l’esigenza di ripeterci due volte che quel cieco era “il figlio di Timeo, Bartimeo” scrivendolo la prima volta in greco, che significa “onore, onorato”, la seconda in aramaico dal significato opposto: “impuro”; quindi si può ipotizzare che desideri presentarci due personalità, due tipi di uomo. Domenica scorsa, i “figli del tuono” Giacomo e Giovanni, avevano cercato i posti d’onore accanto a Gesù quando sarebbe stato nella sua gloria: ciechi nella loro domanda, quindi impuri.
Bartimeo “sedeva lungo la strada” che è un termine tecnico per richiamarci Mc 4 e la parabola del seminatore che sparge il seme: quello che cade sulla strada, viene mangiato dagli uccelli (simbolo del potere). Il cieco stava sdraiato a terra “a mendicare”: è uno escluso ai margini della società perché impuro, uno scarto umano che cerca di raggranellare qualcosa per vivere. Qui il riferimento è agli ambiziosi che “mendicano” sempre ai potenti qualche privilegio. La strada dove si trovava appena fuori della porta della città è quella che percorre Gesù con i suoi discepoli e lui sente che è il Nazareno che sta passando.
La pericope di oggi si configura come una piccola guida del percorso che porta alla fede in Gesù: vediamo. Il primo passo che Marco sottolinea è che questa nasce in persone che hanno saputo di lui anche incidentalmente, magari solo dall’aver percepito una piccola chiacchera. È per esempio il caso della donna emorroissa (Mc 5,27), come quella della prostituta che entra in casa di Simone (Lc 7,37). In ambedue i casi Gesù sottolinea la loro fede matura attraverso una fiducia capace di instaurare una relazione vera e profonda. Qui è allora necessario interrogarsi se noi e le nostre Comunità siamo capaci anche solo di sussurrare o fare qualcosa di concreto che annunci il suo “passaggio”: è un invito preciso a non essere silenti.
Una fiducia che nasce negli anfratti della quotidianità, porta a gesti coraggiosi (toccare il lembo del suo mantello, gridare a squarciagola), a vincere ostacoli, opposizioni, rimproveri che in questo modo riescono a creare lo spazio perché la potenza di Dio possa operare.
Il cammino di fede nasce dall’ascolto, diviene invocazione, discernimento, accoglienza di una chiamata, incontro personale con il Signore e, infine, sequela. Questo cammino implica il riuscire a passare da una situazione di abbandono statico a un dinamismo senza inibizioni, dall’emarginazione alla comunione, dalla cecità alla fede. La salvezza a lui annunciata da Gesù che gli permette di vedere di nuovo, consiste nell’instaurarsi di relazione con Gesù che diventa una sequela e non un rapporto occasionale o uno stato nel quale ci si installa una volta per sempre. Non per nulla al termine dell’episodio, Bartimeo è un discepolo che seguiva Gesù “lungo la strada” (Mc 10,52).
Un’altra faccia del prisma che è questo brano evangelico, porta a guardare la comunità dei discepoli di allora e di oggi; riceve innanzitutto il mandato di farsi portavoce della sua chiamata (“chiamatelo!” è un imperativo, un comando dato), ma può anche diventare un ostacolo all’incontro degli uomini con il Signore quando si crede di difendere l’ortodossia zittendo le voci profetiche, o cerca di primeggiare (Mc 10,37). La conseguenza è il ripiegamento su se stessa nel proprio progetto diventando sordi e ciechi alla Parola. “Avete occhi e non vedete? Non capite? Non comprendete? Non vi ricordate? Non capite ancora?” sono state le domande ripetute da Gesù ai suoi discepoli (Mc 8,14-21).
Si può al contrario essere ciechi per troppo zelo che diviene intolleranza verso chi opera il Regno ma “non è dei nostri” (Mc 9,38) o verso i bambini che si avvicinano a Gesù (Mc 10,13), per poi essere pronti ad obbedire in modo passivo senza comprenderne il senso e nemmeno interrogandosi su di esso. Vi è poi quella cecità che diviene meschinità e incapacità di guardare oltre il proprio naso e fa diventare “guide cieche” che non sanno più amare il fratello e discernere tra la giustizia e la misericordia dalla quale non si può prescindere.
Il grido di Bartimeo “Abbi pietà di me!” ricorre 139 volte nei Salmi e, quando viene chiamato ed invitato ad alzarsi (qui Marco usa uno dei due termini tecnici per dire la “risurrezione”), la sua disperazione diventa una risposta capace di sbarazzarsi di tutto quello che poteva essere di intralcio all’incontro con il Signore. Per lui era il mantello che ricopriva la sua vita passata: la getta via senza pensarci su al contrario di quel “tale” che, invece, rimane posseduto dalla zavorra delle sue ricchezze (Mc 10,22).
Gesù gli rivolge la stessa domanda posta ai due fratelli Giacomo e Giovanni (Mc 10,35): “Che vuoi che io ti faccia?” la risposta è “Che io veda di nuovo”. Aveva perso la capacità di “vedere la Parola" che significa il realizzarla: è questo che Timeo chiede e, grazie alla fiducia posta in Gesù, riceve la capacità di essere nuovamente le mani del Padre, di saper “fissare lo sguardo” e amare l’altro come Gesù, ponendosi alla sua sequela.
(BiGio)
Lettera ai nostri contemporanei del popolo ebraico della diaspora
Raniero La Valle con un primo nutrito gruppo di co-firmatari hanno elaborato una lettera per il popolo ebraico della diaspora che desidera fare il punto e promuovere un dialogo fecondo, non viziato da estremismi e preconcetti su quanto sta accadendo in quella terra.
Non è solo una semplice condivisione ma è anche l'invito per chi la condividesse di associarsi ai mittenti. Se si ritiene opportuno e si desiderasse sottoscriverla, si può inviare l'adesione scrivendo a questo link: notizieda@chiesadituttichiesadeipoveri.it
Gentili Amici, approfitto per mettervi a parte di una iniziativa che riguarda la tragedia in atto in Palestina e nel Vicino Oriente. Si tratta di una lettera che vorremmo indirizzare agli Ebrei della Diaspora. Siamo tutti sgomenti nel vedere il livello estremo cui è giunta la distruzione della popolazione e del territorio di Gaza, nonché la caccia ai palestinesi considerati indocili o terroristi, sia in Cisgiordania che in Libano e in Iran, con grave rischio per la stessa pace mondiale. Ma non minore è lo sgomento per la acquiescenza del mondo di fronte a questa tragedia e per la nostra impotenza a fare alcunché per mettervi fine. Sentiamo però fortemente che non ci è consentita né la rassegnazione né l’indifferenza dinanzi alla passione palestinese, né possiamo ignorare il dramma che vive la stessa popolazione di Israele, una gran parte della quale vorrebbe sottrarsi alla complicità con le politiche genocide del proprio governo, mentre lo stesso popolo ebreo della Diaspora è coinvolto in una contraddizione che lo mette a rischio nel suo rapporto con le nazioni in cui vive. Ci sembra pertanto che questa crisi non coinvolga solo Israeliani e Palestinesi, ma tutti noi, Ebrei e non Ebrei, per l’intreccio strettissimo delle nostre storie e per i legami di fraternità e di amicizia che, soprattutto dopo l’Olocausto, siamo riusciti a ristabilire tra noi. Il nostro coinvolgimento in questa tragedia è determinato anche dal fatto che essa non investe direttamente solo i due popoli in lotta, né è solo un evento di portata locale, ma investe tutti i popoli e gli Stati ed ha una portata di carattere mondiale. Se, non risolvendosi questo conflitto, esso lasciasse dietro di sé due popoli irrimediabilmente nemici, la cui spinta vitale fosse la distruzione l’uno dell’altro, così ogni altro popolo potrebbe cadere nella stessa sindrome di annientamento reciproco, in modo tale che l’unità della famiglia umana sarebbe rotta e il mondo non potrebbe sussistere. La lettera vorrebbe promuovere un dialogo fecondo, non viziato da estremismi e preconcetti. Ve ne allego il testo, non solo per conoscenza, ma anche perché chi lo condivida e voglia firmarla associandosi ai mittenti risponda a questa e-mail, indicando nome e qualifica. Con i più cordiali saluti, |
Raniero La Valle
Il testo della lettera è a questo link:
https://drive.google.com/file/d/12uu5oB5TVRNrI-wIhMWibCpXOxveuUu8/view?usp=sharing
Testimoni di nonviolenza, giovani israeliani e palestinesi in un tour italiano
Il 23 e 24 ottobre sono stati a Roma, con incontri pubblici di mattina. Ultima tappa a Bari. L’iniziativa prepara la Giornata di mobilitazione nazionale per la pace e l’immediato cessate il fuoco del 26 ottobre.
Sono un uomo, non un animale
Mi chiamo Soumaila Diawara e non sono né un cane né un porco, sono un rifugiato. Porto addosso le cicatrici dell'inferno. Da dieci anni questo paese, l'Italia, è la mia casa.
L'intervento di Soumaila Diawara continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202410/241021diawara.pdf
Primato e sinodalità, Vitali: cosa siamo disposti a cedere perché la Chiesa sia una?
Il consultore e docente esperto di ecclesiologia è intervenuto al quarto Forum teologico-pastorale dell'assise in corso in Vaticano: il processo sinodale in atto sta consegnando alla Chiesa un esercizio del primato nuovo, originale, che corrisponde al modello di Chiesa come comunione di Chiese non riducibili a mere circoscrizioni territoriali
Dal cesaropapismo alla papolatria
Il tema del ministero petrino, nella dinamica circolare di sinodalità-collegialità-primato, è affrontato dal teologo don Dario Vitali, docente di Ecclesiologia alla Pontificia Università Gregoriana e consultore del Sinodo dei vescovi. Sulla base del presupposto ermeneutico in virtù del quale "ogni modello di Chiesa corrisponde un modello di ministero, e ogni modello di ministero rivela un correlativo modello di Chiesa", il teologo ha illustrato l'evoluzione storica di questa relazione distinguendo il cammino della Chiesa in tre fasi, in tre millenni: un primo in cui si può parlare di sinodalità senza primato; un secondo, nella Chiesa latina, di primato senza sinodalità; un terzo "si spera, di sinodalità e primato".
Il racconto del tema affrontato è di Antonella Palermo continua a questo link:
I rischi del Sinodo
Una voce ricorrente con grande frequenza, proveniente dall’alto, e poi replicata infinitamente anche dal basso, è che i sinodali devono porsi continuamente in ascolto e saper ascoltare.
Ascolto sì, ma…
Si indovina, dietro all’insistita raccomandazione, la paura che in Sinodo ciascuno si faccia portatore di un suo determinato giudizio sulle cose, che si creino gruppi di consenso su una o un’altra tesi e che, alla fine, si giochi alla creazione e alla verifica di una maggioranza, che risulti decisiva in ordine alle proposte finali da presentare al papa. Eppure è proprio così che si è svolto ed è pervenuto alle sue conclusioni il concilio Vaticano II, come tutti gli altri concili della Chiesa. La vivacissima dialettica che lo ha animato nel confronto, a volte duro e doloroso, fra opinioni e proposte diverse, è stata il segreto della sua fecondità. Nonostante che i moderatori e la segreteria lo vietassero, nell’atrio della Basilica di San Pietro, ogni tanto si faceva addirittura del volantinaggio. Gruppi di vescovi dello stesso orientamento diffondevano i loro ciclostilati per creare vaste zone di consenso intorno alle loro proposte. Né mai io ho potuto constatare che qualcuno, nell’immensa letteratura dell’indagine storica e del commento ai documenti e all’evento conciliare, abbia deplorato questo genere di andamento che ha caratterizzato i lavori conciliari....
L'intervento di Severino Dianich continua a questo link:
https://www.settimananews.it/sinodo/i-rischi-del-sinodo/?utm_source=newsletter-2024-10-22
La lunga marcia tra la Cina e la Santa Sede
La fotografia custodita nei faldoni dell’Archivio Apostolico vaticano è datata 8 settembre 1951. Ritrae un sacerdote un po’ emaciato in clergyman chiaro, estivo, che dopo essere sceso dal treno si avvia verso un futuro ignoto, circondato da un piccolo codazzo di autorità.
È l’immagine di Antonio Riberi, ultimo nunzio vaticano in Cina, che arriva in treno a Hong Kong, allora ancora protettorato britannico, dopo l’espulsione da parte del regime comunista di Mao Zedong. Ora che il Vaticano si accinge a confermare per la terza volta l’accordo biennale «provvisorio e segreto» con Pechino, stipulato per la prima volta nell’autunno del 2018, quella foto assume il significato di un doppio emblema.
Il primo è quanto traumaticamente i rapporti tra cattolicesimo e Cina comunista si siano interrotti per quasi settant’anni. Il secondo è ...
L'articolo di Massimo Franco continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202410/241020franco.pdf
Ucciso don Marcelo Pérez, voce profetica del Messico
Per capire la guerra bisogna saper ascoltare i morti
“Se io non uccido l’altro” scriveva Capitini, “mi porto in un punto intimo di amore infinito per lui, e così posso fare per tutti: allora, io li sento come qualche cosa di più che esseri annientabili”. È così che i morti ci diventano presenti, ed è così che attraverso la morte scopriamo “questo atto di unità amore” che possiamo estendere ai vivi.
Ho ripensato alle parole di Capitini leggendo Piedi freddi di Francesca Melandri, libro che parla della guerra in Ucraina e non solo. I morti parlano, a saperli ascoltare. Perciò desideriamo interrogarli sui nodi irrisolti, tenerli con noi attraverso le parole e le preghiere. Oppure la loro voce ci è insopportabile, come una ferita che non cicatrizza mai; allora ci infuriamo contro di loro, ci litighiamo persino, ne facciamo una malattia. Possono essere morti prossimi, nell’orbita degli affetti più intimi. Un genitore, un amico, una persona amata. Ma possono essere le masse sterminate di una guerra, mentre tra i cumuli di macerie si aggirano civili catapultati in un mondo dove l’unico orizzonte visibile è la sopravvivenza. Masse che a distanza comprimiamo in statistiche e impossibili geometrie nel tentativo di rendere intellegibile l’orrore. O che da vicino azzannano i nostri crani e non mollano più la presa...
L'articolo di Matteo Pascoletti continua a questo link:
Buona notizia: “come” dirla o “cosa” è tale? Questo è il dilemma…
Nella Chiesa si comincia a cogliere come segno dei tempi la necessità di guardare più ai contenuti teologici che al metodo per esprimerli?
La riflessione di Sergio Ventura continua a questo link:
Libano: tra morte e rinascita
Nella vasta guerra in atto si può provare a osservare le complesse dinamiche libanesi. Secondo uno dei più grandi intellettuali arabi, il libanese Samir Kassir, Hezbollah ha prodotto la “totemizzazione della resistenza,” promessa e compresa come fine in sé, indipendente dal politico, quali che siano le circostanze. L’impotenza, scrisse nel suo capolavoro L’infelicità araba, trova nell’abisso “la legittimazione di una violenza apocalittica, o, nel migliore dei casi, sansoniana”. La distinzione va fatta subito: un conto è la comunità sciita nel suo insieme, un conto chi in essa si riconosce nel partito, un altro i combattenti.
Secondo il quotidiano libanese Orient Today “negazione, orgoglio, paura, paranoia, ansia… la base filo-iraniana del partito sta vivendo un turbine di emozioni, a volte contemporaneamente. A tre settimane dalla morte di Nasrallah, non riescono ad accettare il suo “martirio”. “Non è morto”, insiste Ali, 13 anni, sfollato in una scuola del quartiere Clemenceau di Beirut, mentre guarda un video di Hassan Nasrallah, sostenendo che risale a dopo il suo assassinio. Molti promettono di resistere fino al loro ultimo respiro. “La morte di Nasrallah ci costringe a non ritirarci più” – dice Rajaa, sfollata da Meis el-Jabal e riparata in una scuola di Ras el-Nabeh, gestita in parte dagli giovani del gruppo el-Mahdi affiliati al partito. “Siamo noi, gli sciiti, a pagare il prezzo di questa guerra, e continueremo se necessario” – aggiunge. Per lei, Israele non sta conducendo una guerra solo contro Hezbollah, ma contro l’intera comunità sciita.
L'articolo di Riccardo Cristiano continua a questo link:
https://www.settimananews.it/informazione-internazionale/libano-tra-morte-e-rinascita/
Il malessere dell’adolescenza
Nel corso degli ultimi anni le domande dei nostri ragazzi si sono moltiplicate. Ma le risposte sono state spesso banali e insufficienti Perché noi adulti non siamo stati per loro un punto di riferimento
Quando il filosofo inglese John Locke introduce il tema dell’identità personale, la questione che pone, almeno apparentemente, è semplice: chi sono? La filosofia prende le distanze dalla metafisica cartesiana, e quindi dal tradizionale dualismo anima-corpo. Ormai, non basta più dire «sono una cosa che pensa» per risolvere il problema della natura degli esseri umani. Ciò che conta è «chi sono io», e quindi cosa mi rende differente da tutti gli altri. E la risposta di Locke, che nel corso della modernità verrà declinata in molteplici maniere, è complessa ma chiara: «Se l’anima del principe, portando con sé la consapevolezza della vita passata del principe, entrasse e informasse di sé il corpo di un ciabattino subito dopo che questo fosse stato abbandonato dalla propria anima, ognuno vede che egli sarebbe la stessa persona che il principe, responsabile solo delle azioni del principe». Il soggetto si estende quindi sindove si estendono la coscienza e la memoria, ossia la capacità di dire “io” e il ricordo di ciò che si è fatto. Ma cosa resta di quest’io consapevole di sé a partire dal momento in cui il soggetto inizia a essere decostruito, e a sbriciolarsi?
L'articolo di Michela Marzano continua a questo link:
Strade Maestre, a scuola in cammino lungo l’Italia
Un gruppo di giovanissimi, accompagnati da docenti-guide, trascorrerà l’intero anno scolastico in viaggio a piedi, imparando dalla conoscenza diretta di luoghi storici e di tesori naturali e culturali, dagli incontri, dalla stessa esperienza del camminare
La descrizione dell'iniziativa a cura di Stefania Chinzari continua a questo link:
https://www.sapereambiente.it/pedagogia/strade-maestre-a-scuola-in-cammino-lungo-litalia/