In questi dodici mesi sono stati conteggiati anche i silenzi. Chi si esprimeva e chi no, chi condannava e cosa, chi dava la propria solidarietà e in quali termini. Com’era forse prevedibile, la guerra scaturita dall’attacco del 7 ottobre 2023 ha polarizzato con una violenza senza precedenti l’opinione pubblica lontano dal Medio Oriente.
Nulla di paragonabile alle opinioni striscianti attorno all’invasione dell’Ucraina. Dal primo istante, fra Israele e Palestina non c’è stato alcuno spazio non dico di neutralità — la neutralità è un progetto depravato in alcune circostanze — ma di possibile trasformazione. Come in una centrifuga impazzita, chi ha tentato di costruire opinioni più sfumate o mutevoli nel tempo, chi ha deciso da un certo punto in poi di non esprimersi affatto constatando la propria insufficienza, è stato schiacciato arbitrariamente contro questa o quella parete ideologica. Setacciare le parole non bastava, andavano pesate anche le omissioni.
È successo anche a me di ritrovarmi appiattito su questa o quella linea, in pubblico e in privato, per il solo fatto di scegliere di parlare di una cosa e non di un’altra. E perché, via via che il 7 ottobre si allontanava e le rivendicazioni pubbliche diventavano sempre più massicce e rumorose, sempre più sommarie, mi sono ritratto...
L'intera riflessione di Paolo Giordano continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202410/241008giordano.pdf
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