Compagnia, affiancamento, accompagnamento: non sono termini equivalenti dal punto di vista teologico e pastorale, soprattutto in riferimento alla dignità e all'autonomia del mondo adulto
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo dove Giuseppe Guglielmi usa un termine che mi sembra caduto un po’ in disuso nella teologia, nel magistero e in altri testi di provenienza ecclesiale: compagnia. Lo stesso giorno, leggendo le nuove linee guida del ministro dell’istruzione e del merito ho ritrovato un altro termine che, sia nel linguaggio giuridico-politico (di destra e sinistra) che in quello del magistero ecclesiale, sta prendendo invece il sopravvento: accompagnamento.
Ho già segnalato nel mio testo (Imparare dal vento, p. 156, 174) quanto sia problematica questa scelta (se di scelta di tratta), a causa del suo approccio paternalistico, e dove può creare equivoci nel cammino sinodale, non aiutandone la comprensione e l’andamento. Vorrei ora tornare sul perché di tale problematicità ed ambivalenza, e quindi sui motivi per cui riporterei questo termine nel posto che gli compete in base al suo significato ed utilizzo diffuso. ...
L'intervento di Sergio Ventura continua a questo link:
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