L’esempio che viene da Wadi al-Zayne è importante, perché se nella difficoltà, nelle ristrettezze, emerge molto spesso la chiusura, la prevenzione, quando la difficoltà supera i limiti emerge l’empatia, che può ricostruire le culture, nonostante le avversità.
Gli arabi hanno trovato in questa devastazione la loro capitale, quella da cui ripartire? Forse è solo una suggestione, ma forse le cose stanno così. Si chiama Wadi al-Zayne, è una piccola cittadina poco a nord di Sidone, nel devastato Libano, sulle colline dello Shouf, famoso per i suoi uliveti, terra dei drusi. È un gruppo piccolo e chiuso quello dei drusi, ma sulla loro terra hanno trovato questo rifugio i profughi palestinesi quando l’esercito israeliano attaccò il loro campo di Nabatyeh nel 1974. Poi altri ne giunsero, dopo che l’esercito siriano attaccò nel 1976 un altro loro campo, Tal al Zataar. Oggi Wadi al Zayne, ritrovo di questo pugno di reduci di antichi dolori e dei loro figli, si è aperta ai profughi libanesi in fuga dal sud e a quelli siriani, che da anni hanno cercato riparo nel Libano. Il Libano non è mai stato molto aperto con i profughi, prima palestinesi e poi siriani, li ha accolti ma con resistenze e grandi timori, che molto spesso hanno fatto indignare. La scelta degli abitanti di Wadi al-Zayne dunque potrebbe sorprendere. Un residente ha detto: “Non abbiamo molto, ma non potevamo lasciarli lì fuori, senza un riparo”....
La riflessione di Riccardo Cristiano continua a questo link:
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