Gesù per tre volte di seguito chiede che non ci sia nessuna imitazione del sistema del potere che vige nella società umana. La qualità della Comunità cristiana si valuta a partire dalla qualità delle relazioni interne e, su questo, c’è molto da riflettere....
Nel cammino verso Gerusalemme Gesù continua ad insistere: chi vuole essere il primo deve farsi il servo degli ultimi non per umiltà, ma perché è l’esigenza del Regno del Padre che siamo chiamati a realizzare già da ora con il nostro agire a favore di tutti. Lo ha detto a Pietro, lo ha detto ai discepoli, lo ha detto spiegando come devono essere i rapporti tra le persone, lo ha ribadito quando i discepoli discutevano chi tra di loro era il più “grande”. La scorsa settimana, poi, Gesù ha indicato l’esigenza di “fissare lo sguardo” su chi incontriamo per scoprire il suo bisogno nascosto che magari nemmeno lui conosce, quello che offre senso pieno alla sua vita ed aiutarlo a colmarlo. Questo significa amarlo.
In questo annuncio Marco inserisce come un ritornello i tre annunci della passione e il terzo, l’ultimo e il più crudo, precede la pericope evangelica di oggi nella quale gli intraprendenti e irrequieti “figli del tuono”, mentre tutti gli altri erano stupiti e pieni di timore (Mc 10,32a), irrompono con un tono imperativo: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo (…) sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
A loro della passione annunciata hanno trattenuto solo il finale che annunciava la risurrezione, cioè la sua vittoria sui nemici che lo avevano schernito, gli avevano sputato addosso, lo avevano flagellato, ed infine ucciso (Mc 10, 32b). Hanno compreso la promessa di Gesù sul fatto che chi ha “lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi” trascurando il finale “insieme a persecuzioni” cioè che la fatica del vivere non sarà risparmiata a nessuno.
Gesù chiede loro se sono disposti a bere il calice che lui sta per bene, nell’incomprensione di quello che significa con leggerezza rispondono di sì e la risposta del Signore è quella che certamente anche loro saranno “battezzati” (per tre volte compare questo termine in solo versetto) cioè immersi, quasi travolti, nella sua stessa vita, che è il destino di chi davvero si immerge seriamente e completamente nella sua sequela. È l’affermazione che alla lunga anche loro comprenderanno.
La nostra reazione è certamente simile a quella degli altri apostoli che si “sdegnarono con loro”; tutto però lascia pensare che non lo siano stati per il contenuto della domanda, ma perché tutti aspiravano a godere di quei posti trascurando gli aspetti problematici per poter raggiungere quell’obiettivo. In fin dei conti, se si è onesti, quello dei due figli di Zebedeo è un atteggiamento molto comune; a tutti piacerebbe raggiungere il successo tradotto in posti di rispetto nel lavoro, tra gli amici come nelle Comunità senza passare sotto le forche caudine della fatica, delle avversità, di tutto ciò che si percepisce come una concorrenza. In questo modo si rimane autocentrati su se stessi non chiedendoci “cosa io posso fare per la Comunità”, bensì “cosa la Comunità può fare per me”. È l’opposto dell’annuncio sul quale insiste con continuità Gesù.
Ma c’è un altro aspetto molto comune che facilmente viene trasmesso tradendo il vero senso della preghiera: chiedere a Dio che faccia ciò che noi vogliamo facendola diventare una imposizione umana a un dio (minuscolo perché agendo così lo si fa diventare un idolo) che non è più il Signore della vita, ma colui che deve soddisfare i nostri bisogni altrimenti ci si percepisce come traditi. Senza accorgersene, magari anche affiancandola alle nostre richieste, ci si dimentica che nel Padre Nostro la prima richiesta è quel “sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10) accettando così di disporci a fare la sua volontà, non la nostra (Mc 14,36). Volontà che si trova nella Scrittura messa alla base della nostra vita nell’ascolto, nella frequentazione quotidiana.
Dietrich Bonhoeffer ha scritto: “Tutto ciò che dobbiamo chiedere a Dio e dobbiamo attendere da lui si trova in Gesù Cristo. Occorre cercare di introdurci nella vita, nelle parole, negli atti, nelle sofferenze, nella morte di Gesù, per riconoscere ciò che Dio ha promesso e realizza sempre per noi. Dio infatti non realizza tutti i nostri desideri, ma realizza le sue promesse”.
Gesù non li rimprovera ma li riunisce attorno a sé e con dolcezza continua senza stancarsi di ripetere quello che comporta l’essere alla sua sequela nel Regno del Padre e per tre volte di seguito chiede che non ci sia nessuna imitazione del sistema del potere che vige nella società umana. Ponendosi di esempio dice loro che lui “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” cioè per tutti. Da un Cristo servo nasce una Chiesa serva che è ben altro di persone che fanno dei servizi. La qualità della Comunità cristiana si valuta a partire dalla qualità delle relazioni interne e, su questo, c’è molto da riflettere. Su questa linea si muove papa Francesco con la richiesta di una Chiesa sinodale nonostante le mille difficoltà e resistenze clericali poste su questo cammino.
(BiGio)
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