Marco, proseguendo il suo racconto, oggi ci presenta altri due fatti apparentemente staccati, invece al loro centro c’è la ricerca di come deve essere il rapporto tra le persone: non di possesso ma l’accoglienza e l’apertura all’altro nella libertà dei piccoli (che non sono i bambini).
Gesù è in cammino verso Gerusalemme e, dopo aver fatto riflettere i discepoli sul servizio a favore indiscriminatamente di tutti che è chiesto per essere i “primi”, sull’apertura da avere verso tutti quelli che operano il bene anche se non sono dei “nostri”, sullo stare attenti a non mettere ostacoli agli altri nel loro cammino di sequela (i “piccoli”) e che, in questo caso, è meglio interrompere subito quell’agire, la direzione di marcia e i desideri (mano, piede, occhio) per non finire di buttare via la propria vita (“finire nella Geenna”). Concludeva con un invito: “Abbiate sale in voi stessi”, cioè rimanete agganciati a quel sapore che offre alla vita l’azione dello Spirito: il servizio verso tutti.
Marco, proseguendo il suo racconto, oggi ci presenta altri due fatti apparentemente staccati, invece al loro centro c’è la ricerca di come deve essere il rapporto tra le persone.
Nel primo “alcuni farisei” affiancano Gesù chiaramente non per apprendere qualcosa del suo magistero, bensì “per metterlo alla prova” letteralmente “per tentarlo” e, qui, Marco usa il medesimo verbo che adopera per le azioni del diavolo. Gli pongono una questione halakika, termine che normalmente viene erroneamente tradotto con “legge”. In realtà significa “cammino”, il modo di vivere anche indipendentemente dalla fede ebraica, tende cioè all’universalismo. Poi nell’ebraismo viene affiancata e fa corpo unico con la Torà, le 613 mitzvòt, con le successive leggi talmudiche e rabbiniche.
Il tema, delicato anche oggi, riguarda il rapporto tra uomo e donna, il matrimonio e, nello specifico “se è lecito divorziare”. I Farisei pongono cioè tutto all’interno di un aspetto normativo: se le leggi lo consentono, le rispetto in piena tranquillità di coscienza difronte a me stesso e a Dio. Nella sua risposta Gesù sposta l’attenzione su di un altro piano: quello della relazione con Dio e con l’altra persona.
Quando Mosè indicò la necessità di un “libello di ripudio” (da parte dell’uomo, la donna non aveva questa possibilità) guarda la realtà e la prassi esistente, non parla di “diritti” (Dt 24). Interviene a protezione della donna che, ripudiata per qualsiasi motivo, anche il più banale (come diceva la scuola di rav Hillel, mentre rav Shammaj parla solo in caso di adulterio) perdeva tutti i diritti: non poteva risposarsi e, per sopravvivere, finiva per prostituirsi o il darsi all’accattonaggio. Mosè le ridà dignità ma non offre appigli sul quale fondare “diritti”.
Gesù si oppone a questo letteralismo spostando ed elevando lo sguardo dal piano delle prassi umane e cerca di cogliere l’intenzione creatrice di Dio che fonda le responsabilità personali nelle relazioni interpersonali e con lui stesso. Lo sappiamo tutti: passare dall’innamoramento all’amore, al vivere quotidiano con una persona è frutto di un paziente lavoro. È il passaggio dalla spontaneità a far divenire “storia” l’incontro avvenuto che assumerà le vesti della pazienza, dell’ascolto, del perdono, della capacità di attendere i tempi di ascolto dell’altro, del sacrificio, della sopportazione, della riconciliazione. Qualità che portano come frutto la fedeltà, per i credenti fondata anche in quella di Dio. L’amore reciproco, il matrimonio è consegnarsi all’altro perché si è compreso che ha le capacità per far fiorire e portare a compimento pieno la realtà alla quale si è chiamati. Questo porta a difenderlo e a condurlo fino al suo compimento coscienti che spezzarlo significa rinunciare e a rimanere incompiuti.
Ancora una volta Gesù non emette sentenze né legifera, ma compie un annuncio, non è interessato a questioni teoriche, ma alla verità delle persone che ha davanti nel loro rapporto con il Padre, mentre nelle parole e nell’atteggiamento dei farisei c’è la distorsione di usanze, leggi e norme che nascono con un fine buono, ma che vedono nel tempo stravolto il loro senso e finiscono così per distorcersi e perdere irrimediabilmente il loro senso originario.
Nel secondo episodio Gesù specifica il come deve essere il rapporto tra due persone. Non bisogna proiettare il proprio sentire presupponendo che sia quello dell’altro come fanno i discepoli quando vedono che dei bambini vengono portati a Gesù perché li benedica. Il come fare Gesù lo mostra in pratica abbracciandoli ma anche poi ponendo le mani sul loro capo, cioè li attira a sé ma anche si protende verso di loro. Gesù accoglie tutti ma evitando ogni atteggiamento di possesso che significherebbe privali della loro libertà (l’abbraccio), evidenziando invece come la qualità dei "piccoli" (nell'accezione di domenica scorsa) sia la capacità di accogliere e di aprirsi all'altro. Sono da imitare e non da intralciare nel loro cammino facendosi ostacolo disorientandoli. È questo un atteggiamento capace di porli e di porci già ora nel Regno di Dio che va accolto rendendoci disponibili alla sua azione che è sempre alla ricerca della verità delle persone alla ricerca della loro piena realizzazione.
(BiGio)
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