Con Salvati lo "tzimtzum" si fa romanzo

Un’antica tradizione cabalistica ebraica interpreta la nascita dell’Universo non come un un atto di “potenza” di Dio, come irrompere dell’essere nel nulla del vuoto preesistente, ma, al contrario, come uno tzimtzum, una “ritirata del Signore”, un suo “arretramento”.


L’Altissimo prima era dovunque, e non esisteva nulla al di fuori di lui, lo spazio-tempo coincideva con la sua essenza infinita, senza inizio, senza fine, senza limiti. Ma, a un certo momento, il Signore – non più appagato dalla sua solitudine – si sarebbe “ritirato”, lasciando parte del suo infinito alla finitezza della materia, dello spazio e del tempo. L’uomo sarebbe così non tanto il frutto di una “creazione”, ma la conseguenza di un abbandono, di un’assenza, di una privazione della luce divina. Di qui un doloroso senso di incompletezza, un inappagabile desiderio di ricongiungimento con quel Signore che, creandolo, lo aveva in realtà abbandonato a una condizione di perenne privazione, plasmandolo, come recita il libro di Giobbe, come una creatura «nata per il dolore come l’uccello per il volo»...

La recensione di Francesco Lucrezi continua a questo link:

https://moked.it/blog/2024/10/09/scaffale-con-salvati-lo-tzimtzum-si-fa-romanzo/

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