Questo è il cammino in questa Quaresima: Credere in Dio, ponendo fiducia sulle sue promesse perchè lui è il Dio della vita...
Difronte al fico: "taglialo" "lascialo" e il contadino aggiunge: se non darà frutti, “tu lo taglierai” non io. È una sfida, quella della vita e la dimostrazione che l’obbedienza non sempre è una virtù.
Indicati i compiti del cristiano nel mondo, il loro modo di vivere nel Regno di Dio tra di noi inaugurato dall’Anno di Grazia e alla proposta di essere misericordiosi, cioè datori di vita come il Padre, seguendo Gesù siamo entrati nel periodo di rinnovamento che è la Quaresima con l’avviso sulle pericolose seduzioni nell’uso del proprio potere che può condurre a utilizzare le cose, le persone e Dio per i esclusivi fini personali. Pericolo che si può superare confidando, credendo nel Dio che riconosciamo di aver incontrato guardando la nostra storia, sull’esempio di Gesù che è stato confermato dal Padre domenica scorsa con l’invito ad ascoltare la sua Parola ricca di promesse nelle quali ci chiede di porre la nostra fiducia.
Promesse che lui non smentisce mai e porta sempre a compimento nonostante la nostra incredulità. Guardandola si china offrendoci gli strumenti per superare le difficoltà, le sofferenze, rivelandosi così come il Signore misericordioso che offre vita, lui è il Dio della vita che desidera sia da noi vissuta in quella pienezza alla quale siamo stati chiamati. “Ha pietà del suo popolo” ci fa testimoniare il Salmo responsoriale (Ps 103) ricordando la storia della salvezza a partire dal roveto ardente (prima e seconda Lettura).
Oggi l’Evangelo spazza via una falsa immagine di Dio che purtroppo fa fatica ad essere superata e ogni tanto riemerge anche oggi. È facile che si senta chiedere dove lui sia quando accadono tragedie di ogni tipo, da catastrofi naturali (il crollo di un edificio con le sue vittime), ad eventi nei quali viene spazzato via nel sangue un gruppo di contestatori magari coinvolgendo innocenti civili. Peggio ancora se si leggono questi eventi oppure inondazioni o terremoti come una punizione di Dio nei confronti di chi soccombe.
“In quello stesso tempo” inizia la pericope odierna e, questa allocuzione, fa da congiunzione alla domanda fatta da Gesù alla fine del capitolo precedente: “Come mai non sapete valutare questo tempo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto” (Lc 12, 56b-57) invitando tutti, anche noi, a prendere responsabilità e coscienza di quanto ci accade attorno senza affidarci al pensiero di altri o appiattendoci come si dice oggi al “mainstream”, al pensiero prevalente. Alcuni dei presenti ci provano riferendo la feroce repressione di Pilato verso un gruppo di Galilei (forse un gruppo di Zeloti che erano radicati in quella regione) pensandola come una punizione divina. No, dice Gesù, quei morti non erano più “peccatori” di tutti gli altri galilei, come non erano più “colpevoli” (il termine usato si dovrebbe tradurre più correttamente con “debitori”) quelli che perirono sotto il crollo della torre di Siloe rispetto a tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Fate piuttosto attenzione a voi che se non modificherete il vostro modo di vivere e di pensare “perirete tutti allo stesso modo”. Se non vi convertirete e iniziate a mettere al centro della vostra vita il bene dell’altro e non l’esclusivo vostro interesse, vi autoescludete da soli dal Regno del Padre, da una esistenza vissuta in pienezza e continuerete a vivere nell’oscurità.
Gesù spezza il legame tra la nostra incapacità di rimanere fedeli all’Allenza e le disgrazie naturali o le violenze anche quelle istituzionali. In quelle vittime non vede dei peccatori, ma degli esseri umani, vede solo delle vittime. Il suo è lo sguardo di compassione del Padre che non giudica ma vivifica, non punisce ma offre nuove possibilità e collabora perché queste accadano. Qual è allora il metro per “giudicare”? La Parola ascoltata nella preghiera, accolta e messa in pratica all’interno degli eventi storici che ci coinvolgono non permettendo che rimangano dei fatti senza nesso, ma scoprendo in essi quei germogli, quelle indicazioni di vita che hanno in se stessi. Tutto ha un senso se letto con gli occhi del Dio della vita. È necessario scoprirli incrociandoli con la Parola e “ascoltarli”, osando il rischio dell’interpretazione sapendo che nessuna di queste può essere unica od univoca e neppure definitiva; ma ogni ricerca di senso aiuta a rispondere al mandato di vivere davanti al Dio della vita in questo mondo, non fuori di esso come Gesù insegna (Tt 2,12).
Nei due fatti evocati e nella parabola del fico, che nella Scrittura è rappresenta Israele (per esempio in Os 9,10 – 1Re 5,5), corre il filo rosso della morte. È significativo il dialogo che intercorre attorno all’albero che non produce frutti da tre anni (un tempo compiuto): “taglialo”, “lascialo” e il verbo qui usato è quello che indica la remissione dei peccati e la liberazione dal male. È l’affermazione che mai nulla è perso definitivamente, che bisogna dare sempre un’altra possibilità impegnandosi di persona affiancando l’altro, sostenendolo, incoraggiandolo, assumendosi il rischio del fallimento. Ma il contadino aggiunge: se non darà frutti, “tu lo taglierai” non io. È una sfida, quella della vita e la dimostrazione che l’obbedienza non sempre è una virtù.
(BiGio)
Grazie Gianni
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