L’introduzione del reato di femminicidio è una legge per le morte, non per le vive. Punisce in maniera più grave il femminicidio, ma non fa nulla, niente, per contrastare o prevenire la cultura della violenza da cui scaturisce. È una legge che non solo non li ferma, ma tratta la donna morta come una funzione sottratta alla famiglia, che viene risarcita per la perdita, non come un essere umano che aveva diritto di continuare a vivere.
Partiamo da un presupposto che è da tempo assodato: il governo Meloni disconosce l’esistenza del patriarcato e la matrice culturale delle violenze. Ogni femminicidio, nella visione conservatrice, fa storia a sé: ogni uomo ucciderebbe, quindi, per motivi diversi, senza che alla base di quell’atto di violenza ci sia una diffusa acquiescenza della società nei confronti della violenza maschile. Questo rende i femminicidi inevitabili: disconoscendone i tratti comuni (l’intolleranza per la libertà di una donna che si considera una proprietà privata, la rabbia per l’offesa arrecata alla propria maschilità da una rottura, la misoginia, ecc.), si disconosce anche la possibilità di agire sull’educazione delle persone, e in particolare dei maschi di ogni età, che rappresentano la stragrande maggioranza delle persone denunciate per reati violenti e che sono incoraggiati fino dalla più tenera età a mostrare aggressività in ogni lato dell’esistenza come prova della propria dignità di appartenenza al genere.
La prevenzione dei femminicidi è costosa, perché obbliga i governi e le amministrazioni locali ad agire su più fronti: quello educativo (con l’introduzione dell’educazione sessuale, affettiva e relazionale nelle scuole di ogni ordine e grado, ovviamente con un linguaggio e dei temi appropriati a ogni fascia d’età), quello della formazione delle forze dell’ordine, che troppo spesso sono impreparate o indisponibili a fornire assistenza a chi denuncia, e quello delle strutture e delle case-rifugio. I tribunali vedono addirittura tirare in ballo la fantomatica PAS, Parental Alienation Syndrome, come scusa per costringere una donna a continuare a vedere il proprio ex violento, che fa leva su una sindrome inesistente per mantenere il controllo su di lei e sui figli. Oltre a non riconoscere la matrice culturale degli abusi, il governo pensa di risparmiare lasciandoci morire: perché comunque ricordiamolo, la violenza è un mezzo di controllo sociale, e le donne che la temono sono più facili da tenere in riga.
La legge del 19 luglio 2019 introduce l’obbligo di formazione delle forze dell’ordine sul tema, ma non specifica nulla su come debba essere svolto e da chi, e rimanda ad altra sede la decisione. Alla luce dei fatti, possiamo dirlo: è rimasta lettera morta, più morta della donna che è stata rimandata a casa perché “Signora, noi non ci possiamo fare niente”. Se la Polizia e i Carabinieri avessero sentito l’esigenza di formarsi sul tema, avrebbero già trovato il modo di farlo: i femminicidi non sono esattamente un fenomeno recente. La differenza è che fino al 1981 se ammazzavi tua moglie perché ti tradiva, o pensavi ti tradisse, ti davano le attenuanti per onore.
(Giulia Blasi)
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