L’Anno giubilare che stiamo vivendo ci aiuta a riscoprire la profondità e l’autenticità della speranza, come capacità di sostare, con sguardo stupito e commosso, dinanzi all’opera di Dio che visita la complessità e la frammentarietà della storia. Questa tensione spirituale connota anche il Tempo di Quaresima, «itinerario verso la luce pasquale sulle orme di Cristo, maestro e modello dell’umanità riconciliata nell’amore» (prefazio di Quaresima V).
Il deserto quaresimale orienta i nostri passi al sepolcro vuoto, testimone eloquente della gioia della Pasqua e grembo fecondo di un mondo nuovo. A questo mistero la liturgia della Chiesa dedica cinquanta giorni che profumano della vita che non muore, della speranza che non delude e dell’amore che non ha confini. In questo unico giorno di festa, come per i primi discepoli e discepole di Gesù, il Risorto si fa viandante delle nostre storie: Egli accoglie le nostre delusioni e le nostre fatiche e, attraversandole con la luce della Pasqua, le apre a un nuovo orizzonte di senso.
Nella grande Domenica riecheggia anche un canto di gioia che si imprime profondamente anche in noi: «Lodiamo dunque il Signore che è nei cieli, o carissimi. Lo diamo Dio; diciamo: Alleluia! Con questi giorni significhiamo il giorno senza fine. Significhiamo nel luogo della mortalità il tempo dell’immortalità. Camminiamo spediti verso la casa eterna. […] Lassù non loderemo Dio per cinquanta giorni ma, come sta scritto, nei secoli dei secoli. Vedremo, ameremo, loderemo. Non si logorerà quel che vedremo, non verrà meno ciò che ameremo, non ci sarà silenzio nel nostro lodare. Tutto sarà perpetuo, nulla avrà termine» (Sant’Agostino, Discorso 254).
CEI - Ufficio Liturgico
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