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10 anni di Koinokia. Una casa comune per i giovani

Koinoikia, esperienza di vita comunitaria per giovani a Roma, promuove autonomia e discernimento spirituale. Nata nel 2015, offre condivisione, preghiera e responsabilità, accompagnando i partecipanti nella crescita personale e nella transizione verso la vita adulta


A Roma da un po’ di tempo circola una parola strana, che risveglia ricordi nostalgici in chi da adolescente ha frequentato il liceo classico, e dunque ha serbato nella memoria una qualche infarinatura di greco…

“Come hai detto che si chiama l’esperienza? Koinonia?”
“No: Koinoikia!”
“Ah, ma è una parola nuova, no?”

Infinite volte ho avuto questo esatto scambio di battute: laddove l’altro, per i suoi retaggi classici, immaginava si trattasse della parola che in greco significa comunionecomunità (koinonia, appunto), qui sia il termine in questione che la realtà che esso designa sono nuovi, sebbene vicini a quanto inteso dall’altro. “Koiné” e “oikia”, per crasi “Koinoikia”, ovvero “Casa comune”, ma anche “Casa in comune” o, meglio, “Casa comune per la comunione”: la proposta di vita comunitaria rivolta ai giovani di Roma, che dall’1 marzo 2015 a oggi ha visto l’apertura di nove Case a Roma sud, tra il Torrino, Mostacciano, Tor Marancia e la Garbatella.

L'articolo di Alessandro Di Medio è a questo link:

https://www.agensir.it/chiesa/2025/03/13/una-casa-comune-per-i-giovani/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2

La morsa del debito. Un peso e due misure: il doppio fardello del Sud del mondo

Il debito estero grava sullo sviluppo dei Paesi poveri. Il Papa - ancora una volta in occasione del Giubileo - ha richiamato le Nazioni ricche a intervenire "cancellando o riducendo quanto più possibile" il fardello che genera a sua volta povertà e ingiustizia planetaria. Diversi organismi cattolici hanno lanciato la campagna "Cambiare la rotta" con una proposta chiara: non basta rinegoziare i pagamenti, bisogna ridurre in maniera significativa il peso del debito per permettere ai Paesi di investire nel proprio futuro


È un paradosso dei nostri tempi: le Nazioni meno responsabili delle emissioni di gas serra sono quelle che subiscono le conseguenze più devastanti del cambiamento climatico. Mentre il Nord globale continua a prosperare, il Sud globale è intrappolato in una morsa di debito e crisi ambientale. Secondo il Climate Vulnerable Forum, questi Paesi perdono annualmente il 20% del loro Pil a causa dei danni climatici, mentre il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale avvertono che oltre il 60% delle economie in via di sviluppo sono a rischio di crisi debitoria. Una situazione che non può essere più ignorata, soprattutto considerando che le risorse che dovrebbero essere impiegate per adattarsi alla crisi climatica vengono invece dirottate per ripagare prestiti contratti in condizioni spesso inique.
Per fare fronte a questa emergenza, nel 2020 il G20 ha introdotto il Common Framework for Debt Treatments, una misura che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto offrire ai Paesi più poveri un percorso per la ristrutturazione del loro debito. Tuttavia, la sua applicazione si è rivelata lenta e inefficace. Il problema principale è che ...

L'articolo di Giovanni Rocca è a questo link:

https://www.agensir.it/mondo/2025/03/13/la-morsa-del-debito-un-peso-e-due-misure-il-doppio-fardello-del-sud-del-mondo/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2

Il Foglietto "La Resurrezione" di domenica 30 marzo

 



Domenica IV di Quaresima - Lc 15,1 3. 11- 32

Troppo facile identificarsi con il figlio minore perdonato per acquetare la coscienza. 

L'invito di questa parabola, è l'accorgersi che l’amore del Padre ci incalza a credere che la fraternità è condivisione nella festa e non nel rancore.



Credere significa porre la fiducia nella promessa di un Dio che, nella sua misericordia, offre sempre una seconda possibilità perché Lui è per la vita e non per la morte.

Questo è stato fino ad oggi il cammino in questa Quaresima ed ora ci è chiesto di fare un passo ulteriore che ci interpella personalmente chiedendoci di identificarci non in uno solo dei tre personaggi della parabola, ma alternativamente in tutti e tre senza alcuno sconto. Sono tre atteggiamenti che tutti ci troviamo prima o poi a vivere se non ci si nasconde dietro il consueto comodo, ma falso, dito.

C’è un padre e due figli che più diversi da così non si potrebbe, una situazione comune in molte famiglie. Due figli che non si riconoscono come fratelli e faticano a vivere serenamente la realtà famigliare. Ambedue hanno ansia di autonomia: uno la manifesta, l’altro la reprime; uno la protesta con coraggio, l’altro la argina per rimanere in un ambito di sicurezza. Il primo la protesta subito e desidera sperimentarla in pienezza, nel secondo esplode in un secondo tempo per reazione al comportamento del fratello e del padre protestando contro la sua stessa libera scelta. Il padre è in mezzo nella posizione più scomoda, ma appunto per questo ha molto da insegnare su come si deve vivere la realtà dei figli cosciente che, pur essendo come frecce nella sua faretra (Ps 127), non sono sua proprietà.

Il brano evangelico inizia ancora una volta con una folla che si avvicina a Gesù “per ascoltarlo”. Questa volta però non si tratta di persone comuni ma sono “tutti i pubblicani e i peccatori”, gli esclusi dalla società, gli emarginati. Averci a che fare con loro e ancor di più il mangiare con loro nel linguaggio semitico significa condividerne la vita, di conseguenza l’essere da loro contaminati, il diventare impuri come loro, pària come loro. Per questo Gesù non viene neppur chiamato per nome, come può una persona del genere portare un nome che significa “Il Signore salva”? Ecco allora la conosciutissima parabola che oggi la Liturgia ci propone e che non è indirizzata a coloro che gli si assiepavano attorno “per ascoltarlo” ma a coloro che si tenevano a distanza con la puzza sotto il naso, i benpensanti, i cristiani frequentanti: facilmente cioè a noi.

Il figlio minore chiede la sua parte di eredità, il padre divide il suo “patrimonio” tra i due figli, anche con quello che non ha richiesto nulla. Luca usa il termine greco bios che significa “vita”: il padre dà ai suoi figli la sua vita in parti uguali. Non dice nulla, lascia che la soggettività dei figli si manifesti liberamente anche se può provocare angoscia e dolore. Non protegge se stesso ma ha la capacità di lasciare spazio al figlio piccolo, alla sua ricerca che potrà, anzi certamente, comporterà anche degli errori gravi. Ha la forza di non imporre autoritariamente quello che lui pensa possa essere il bene, il futuro del figlio. Il suo silenzio non è segno di debolezza ma di forza nei confronti di se stesso riuscendo a non incatenare il figlio minore per non dover soffrire lui stesso, spera che la sua vita nel figlio possa riemergere mettendosi di fronte a quella scelta dal secondogenito. È quello che accade quando il giovane “rientra in se stesso”, ritrova la sua identità nella vita del padre dopo aver ridotto tutto ad oggetto, pensando di poter comperare tutto con il denaro che gli offriva potere (le tentazioni, le seduzioni della prima Domenica di Quaresima alle quali sempre siamo sottoposti lungo tutta la vita). Nel frattempo il padre non fa nulla: non va in cerca della pecora smarrita o della dracma persa (le parabole che precedono quella odierna). Ha obbedito al figlio rinunciando alla sua autorità e disobbedendo alla Scrittura che indicava di dividere l’eredità solo alla morte non prima (Sir 33,20-24), ma non lo abbandona e rimane in attesa dell’auspicato ritorno seppur avrebbe dovuto essere considerato come un bestemmiatore (Sir 3,16: “chi abbandona il padre è come un bestemmiatore”) e questi secondo il Levitico andavano lapidati (24,14).

Questo figlio non si pente ma ha solo fame e torna per cercare di colmarla. Il padre non parla ma agisce: “lo vide da lontano”, “si sentì sconvolgere nelle viscere”, “si mise a correre”, “gli si gettò al collo”, “non smetteva più di baciarlo”; non lo lascia parlare e lo reintegra come figlio.

Di fronte a questo atteggiamento sorge la domanda: perché sforzarsi di comportarsi bene se poi chi fa lo scapestrato viene accolto come se nulla fosse? Qui entra in scena l’altro figlio che ha preso la sua parte di eredità senza farne nulla in barba alla parabola dei talenti e ha continuato, certo “faticando” a vivere delle sostanze del genitore: non usa mai la parola “padre” mentre il minore lo fa cinque volte. Non ha coscienza di essere “figlio” ma un “servo” sotto un “padrone”. Può essere, forse inavvertitamente, la posizione di molti cristiani fedeli solo a norme che hanno perso ogni significato reale. Ci viene chiesto di identificarci più con questo primogenito che ha smarrito ogni identità e di rimanere capaci di accogliere la correzione del Padre “… questo tuo fratello …” perché a questo ci spinge questa parabola, ad accorgersi che l’amore del Padre ci incalza a credere che la fraternità è condivisione nella festa e non nel rancore.

(BiGio)

Genocidio, quel "crimine senza nome"

Dal Tribunale di Norimberga, dopo la Seconda guerra mondiale, all'adozione da parte dell'Onu della Dichiarazione sulla prevenzione e repressione del genocidio, il diritto internazionale ha rafforzato la tutela giuridica contro questo crimine. Nell’agire tra gli umani, tuttavia, l’analisi di una commissione d’inchiesta o la determinazione di un tribunale sono doverosamente precedute dal giudizio della coscienza e dall’obbligo della verità.


"Un crimine senza nome": così Winston Churchill reagì di fronte allo sterminio degli ebrei posto in atto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Efferatezza, assurdità, male assoluto, violazione di ogni regola sono i termini allora e oggi utilizzati di fronte a quegli atti impensabili ma compiuti, posti con l’intenzione di una “soluzione finale”. La mancanza di una definizione rispondente alla gravità di quella condotta durò poco. Nello stesso periodo (eravamo nel 1944) fu il giurista polacco Raphaël Lemkin a identificare come genocidio la “distruzione” di nazioni, popoli, gruppi etnici. I contenuti del suo libro Axis Rule in Occupied Europe divennero riferimento per l’istituzione e il lavoro del Tribunale di Norimberga, per poi entrare in modo decisivo nel dibattito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite concretizzatosi l’11 dicembre 1946 con la Dichiarazione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio, e appena due anni dopo con l’omonima Convenzione. Atto obbligante quest’ultimo, non a caso adottato il 9 dicembre 1948, un giorno prima che l’Onu emanasse la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo....

La riflessione di Vincenzo Buonomo è a questo link:

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2025-03/guerra-gaza-violenza-diritti-umani.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

Perché le proteste di Gaza non possono cadere nel vuoto.

 Posto che sappiamo tutti perfettamente che la prima cosa da fare sarebbe quella di sgretolare Hamas dall’interno, aiutando l’emersione di una nuova classe dirigente palestinese quantomeno in grado di interloquire con il mondo civile e desiderosa di avviare una nuova stagione di rapporti con Israele, adesso il punto è uno solo: c’è modo di evitare che queste prime voci di protesta (che avranno senz’altro già i loro sostenitori, perché a Gaza nulla accade per caso) finiscano nel nulla cosmico?

Faremmo bene (qui in Europa) ad accorgerci con una certa prontezza delle novità che presenta il drammatico scenario mediorientale, anziché tendere a ragionare con schemi spesso superati dalla realtà.
Nel sostanziale disinteresse dei media europei, martedì è successo a Gaza qualcosa di straordinario, cioè una manifestazione di popolo contro Hamas e il suo controllo feroce e violento del territorio.
Tutto ciò ha preso la forma di un vero e proprio corteo, anche se, nella sua prima uscita, non certo di dimensioni oceaniche.
Il corteo principale si è radunato nel centro di Beit Lahia, tra le macerie dei prolungati bombardamenti israeliani. Centinaia di palestinesi hanno sfilato per le vie urlando slogan contro la guerra, dopo che nelle ultime settimane l’esercito israeliano ha unilateralmente messo fine a due mesi di cessate il fuoco riprendendo la sua offensiva sulla Striscia di Gaza.
Altre proteste, meno partecipate, si sono tenute anche a Khan Yunis e Jabalia, mentre su Telegram sono circolati inviti a ...

La riflessione di Roberto Arditti è a questo link:

https://formiche.net/2025/03/gaza-cortei-contro-hamas-arditti/#content

La parità di genere non è a buon punto. Forse fra 300 anni ...

All’esito della 69esima sessione della “Commissione sullo status delle donne” (CSW69), tenutasi in questo mese presso la sede delle Nazioni Unite a New York, l’evento mondiale più importante dedicato ai diritti delle donne per verificare l’attuazione degli obiettivi della Conferenza di Pechino, le riflessioni sembrano davvero sconfortanti. Includere il mondo femminile nei processi di pace e promuovere eguali opportunità per uomini e donne insieme al diritto delle donne a vivere libere dalla violenza sono obiettivi ancora molto lontani


I progressi dei decenni scorsi sui diritti delle donne nel mondo “stanno svanendo sotto i nostri occhi”, secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Come in Afghanistan, dove “donne e ragazze sono state cancellate dalla vita pubblica” e in molti altri Paesi. “Secoli di patriarcato, discriminazione e stereotipi dannosi hanno creato un enorme divario di genere nella scienza e nella tecnologia”, ha dichiarato il diplomatico, auspicando un’azione collettiva a livello mondiale da parte dei governi, della società civile e del settore privato, per migliorare la formazione delle competenze e colmare il divario digitale. “La parità di genere è sempre più lontana. Sulla base del percorso attuale, UN Women stima che mancano 300 anni”....

La riflessione di Elvira Frojo è a questo link:

In Nicaragua per celebrare Messa serve il permesso di Ortega

L'ultimo atto della repressione voluta dal regime prevede che i sacerdoti si rechino settimanalmente dalla polizia per ottenere il via libera. Processioni e manifestazioni pubbliche sono già vietate


In Nicaragua, la dittatura di Daniel Ortega e Rosario Murillo stringe sempre più la morsa. In primis contro la Chiesa cattolica, ultimo baluardo di libertà nel Paese, ora sottoposta a un attacco senza precedenti: i sacerdoti devono recarsi settimanalmente alla polizia per ottenere il permesso di celebrare Messa. L’ultima misura di una repressione che non si arresta, ma accelera la persecuzione. Le processioni e le manifestazioni pubbliche della Chiesa cattolica sono proibite, le attività all’interno dei luoghi di culto sono strettamente sorvegliate, e ogni parola dai pulpiti rischia di essere trasformata in un atto di accusa. 
Anche le comunità evangeliche non sfuggono alla persecuzione. Nel 2024 si sono registrate 222 violazioni della libertà religiosa, secondo Christian Solidarity Worldwide. Ma la repressione non risparmia nessuno. Giornalisti, attivisti, oppositori politici. Nei giorni scorsi, il governo ha bloccato i tre principali siti di informazione indipendente. E, intanto, il numero di prigionieri politici è aumentato da 47 a 52 tra gennaio e febbraio, con 13 scomparsi. Di questi, 35 sono stati condannati per «tradimento della patria» e 17 attendono il processo. 
L'organizzazione “Meccanismo per il riconoscimento delle persone prigioniere politiche” denuncia un’escalation repressiva iniziata con le proteste del 2018 contro la riforma delle pensioni, quando 325 manifestanti furono uccisi e centinaia arrestati. Da allora, il governo ha chiuso Ong, media indipendenti e associazioni civili. Oltre 800.000 nicaraguensi, l'11,9% della popolazione, hanno lasciato il Paese per sfuggire alla persecuzione. 
Nel frattempo, il regime ha creato un esercito parallelo di 76.800 “poliziotti volontari” incappucciati, più del doppio degli agenti regolari. Le organizzazioni internazionali denunciano il rischio che queste milizie, come quelle che operavano nel 2018, diventino strumenti di ulteriore repressione e violazioni dei diritti umani.

(Costanza Oliva)

Sudan: avanza l’esercito ma non c’è tregua alla sofferenza

I militari riconquistano posizioni a Khartoum, mentre l'Rsf attacca il Darfur. Il racconto di Adam Nor Mohammed, portavoce della comunità dei rifugiati sudanesi in Italia: «Mancano cibo, acqua e medicine» ma continuano ad arrivare armi «pagate con l'oro sudanese»


Una feroce e sanguinosa battaglia. Così viene descritto lo scontro delle ultime ore  a Khartoum tra esercito del Sudan e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), nel quadro di una guerra che dal 15 aprile 2023 vede combattersi le truppe del generale Abdel Fattah al-Burhan e le milizie guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo. L’esercito sudanese ha annunciato di aver riconquistato il palazzo presidenziale nella capitale, il cui possesso era nelle mani dei paramilitari da subito dopo lo scoppio del conflitto, e l’Rsf hanno dichiarato di aver lanciato un attacco che avrebbe causato la morte di dozzine di soldati. Nelle violenze sono stati uccisi tre giornalisti della tv di Stato sudanese. Annunciata inoltre la presa da parte dell’esercito di un altro edificio chiave, la sede della Banca centrale.
All’avanzamento dell’esercito a Khartoum si contrappone nel frattempo un consolidamento dei paramilitari nell’ovest, con le forze di al-Burhan che controllano maggiormente il nord e l’est e i paramilitari — che più volte hanno annunciato un ...

Il reportage di Giada Aquilino è a questo link:

Rivediamoci a Nicea

Il primo concilio ecumenico della storia ha 1700 anni, e li dimostra tutti… Il Credo che tuttora recitiamo a messa espone concetti che non «parlano» più ai contemporanei. Un libro affronta la questione


Il 20 maggio o – secondo altre fonti – il 19 giugno si festeggiano i 1700 anni del Concilio di Nicea (325). Festeggiano?!? Diciamo che di quelle prime assise ecumeniche – convocate dall’imperatore vicino a casa sua per controllarle meglio, avvenute con la partecipazione di appena sei vescovi occidentali e concluse con l’affermazione dogmatica dell’«homousios» (il Figlio «della stessa sostanza» del Padre) che provocherà in seguito diversi problemi – ci sarebbe poco da felicitarsi. Gli storici lo hanno ben evidenziato: Costantino aveva bisogno di riunificare l’impero anche attraverso lo strumento del cristianesimo, che grazie a lui stava diventando la religione vincente, e lo ha fatto imponendo una linea su tutte le altre.
Limitandoci qui alla sola questione del Credo che tuttora recitiamo a messa, la cui versione è stata poi completata nel concilio di Calcedonia (451), non sono pochi i problemi che Nicea ci ha tramandato e che oggi dovrebbero interrogarci ...

L'intero contributo di Roberto Beretta è a questo link:

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/rivediamoci-a-nicea/

Chi griderà contro la guerra?

Rumore sempre più intenso e diffuso, sempre più cupo e minaccioso, dello stoccaggio delle armi, da stipare fino a colmarne i magazzini e riempire di cifre iperboliche, nell’ufficio accanto, le fatture delle aziende che le producono e delle agenzie che organizzano il commercio delle armi.

Ci si riarma freneticamente dovunque, in tutte le nazioni, con la pretesa, come fa la Polonia, di avere a disposizione anche le bombe atomiche. Affrettatevi, investite il vostro denaro nelle azioni delle imprese che fabbricano e vendono le armi! Produrranno massacri in qualche parte della terra, ma in compenso il portafoglio degli investimenti vedrà crescere a vista d’occhio l’ammontare degli utili.
Mi viene da domandarmi anche quale trucco i ministri che firmano i decreti del riarmo e i parlamentari che votano le leggi relative, hanno già messo in atto perché, arrivato il momento, i loro figli non siano inviati al fronte.
A sentire i notiziari di questi giorni, sembra che il mondo stia impazzendo. Qualunque episodio di aggressione avvenga, a nessun altro possibile rimedio si pensa, che non sia quello di sparare, bombardare, distruggere e uccidere, come se l’intelligenza avesse chiuso a doppia mandata e reso inutilizzabili tutti gli altri spazi delle sue infinite potenzialità.

I “maschi”: tra esagerazione ed evaporazione

Rocco Gumina intervista Riccardo Mensuali su una questione maschile che sembra essersi arenata tra gli estremi della scomparsa e della riaffermazione


 Che il maschile sia in crisi è sotto gli occhi di tutti. Studiosi, analisti, opinionisti registrano ormai quotidianamente la rarefazione, l’evaporazione e la scomparsa identitaria del padre, del marito, del “maschio”. All’analisi però spesso non segue quel lavoro creativo e propositivo che dovrebbe condurre a ricercare e a indicare nuovi volti del maschile per la nostra epoca. Con il suo ultimo volume intitolato Pieno di Grazia. La sfida cristiana per il maschio del nostro tempo (San Paolo, 2025), Riccardo Mensuali – membro della Fraternità Sacerdotale Missionaria di Sant’Egidio – attraverso un sapiente richiamo al testo biblico, alla letteratura, alla saggistica di area psicologica avanza un profilo identitario di un maschio in grado di interpretare una sintesi originale tra virilità e cortesia. Lo abbiamo intervistato a partire dai contenuti del suo libro....

L'intervista è a questo link:

https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/i-maschi-tra-esagerazione-ed-evaporazione/

La legge sul femminicidio non farà morire una donna di meno

L’introduzione del reato di femminicidio è una legge per le morte, non per le vive. Punisce in maniera più grave il femminicidio, ma non fa nulla, niente, per contrastare o prevenire la cultura della violenza da cui scaturisce. È una legge che non solo non li ferma, ma tratta la donna morta come una funzione sottratta alla famiglia, che viene risarcita per la perdita, non come un essere umano che aveva diritto di continuare a vivere. 

Partiamo da un presupposto che è da tempo assodato: il governo Meloni disconosce l’esistenza del patriarcato e la matrice culturale delle violenze. Ogni femminicidio, nella visione conservatrice, fa storia a sé: ogni uomo ucciderebbe, quindi, per motivi diversi, senza che alla base di quell’atto di violenza ci sia una diffusa acquiescenza della società nei confronti della violenza maschile. Questo rende i femminicidi inevitabili: disconoscendone i tratti comuni (l’intolleranza per la libertà di una donna che si considera una proprietà privata, la rabbia per l’offesa arrecata alla propria maschilità da una rottura, la misoginia, ecc.), si disconosce anche la possibilità di agire sull’educazione delle persone, e in particolare dei maschi di ogni età, che rappresentano la stragrande maggioranza delle persone denunciate per reati violenti e che sono incoraggiati fino dalla più tenera età a mostrare aggressività in ogni lato dell’esistenza come prova della propria dignità di appartenenza al genere.

La prevenzione dei femminicidi è costosa, perché obbliga i governi e le amministrazioni locali ad agire su più fronti: quello educativo (con l’introduzione dell’educazione sessuale, affettiva e relazionale nelle scuole di ogni ordine e grado, ovviamente con un linguaggio e dei temi appropriati a ogni fascia d’età), quello della formazione delle forze dell’ordine, che troppo spesso sono impreparate o indisponibili a fornire assistenza a chi denuncia, e quello delle strutture e delle case-rifugio. I tribunali vedono addirittura tirare in ballo la fantomatica PAS, Parental Alienation Syndrome, come scusa per costringere una donna a continuare a vedere il proprio ex violento, che fa leva su una sindrome inesistente per mantenere il controllo su di lei e sui figli. Oltre a non riconoscere la matrice culturale degli abusi, il governo pensa di risparmiare lasciandoci morire: perché comunque ricordiamolo, la violenza è un mezzo di controllo sociale, e le donne che la temono sono più facili da tenere in riga.

La legge del 19 luglio 2019 introduce l’obbligo di formazione delle forze dell’ordine sul tema, ma non specifica nulla su come debba essere svolto e da chi, e rimanda ad altra sede la decisione. Alla luce dei fatti, possiamo dirlo: è rimasta lettera morta, più morta della donna che è stata rimandata a casa perché “Signora, noi non ci possiamo fare niente”. Se la Polizia e i Carabinieri avessero sentito l’esigenza di formarsi sul tema, avrebbero già trovato il modo di farlo: i femminicidi non sono esattamente un fenomeno recente. La differenza è che fino al 1981 se ammazzavi tua moglie perché ti tradiva, o pensavi ti tradisse, ti davano le attenuanti per onore.

(Giulia Blasi)

Verso il 1700esimo di Nicea, Bartolomeo: “Le divisioni dei cristiani non sono insormontabili”

Parlando con un gruppo dell’Associazione Tedesca della Terra Santa, il Patriarca Bartolomeo ritorna a parlare della divisione tra i cristiani e della speranza di unità


All’annuncio del Patriarca Bartolomeo che la commemorazione di Nicea, con la presenza del Papa, avrebbe avuto luogo il prossimo 26 maggio, la Sala Stampa della Santa Sede si è sentita in dovere che, da parte vaticana, non era mai stato ufficializzato un viaggio del Papa in Turchia. Vero. È vero anche che Papa Francesco ha più volte espresso il desiderio di essere a Nicea per il 1700esimo anniversario del primo Concilio Ecumenico, che addirittura si è cominciato a pensare al viaggio e che era stato persino concordato che il Papa non avrebbe fatto tappa ad Ankara, ma che il presidente Erdogan sarebbe invece stato a Nicea....

L'intero articolo di Andrea Gargliarducci è a questo link:

https://www.acistampa.com/story/28935/verso-il-1700esimo-di-nicea-bartolomeo-le-divisioni-dei-cristiani-non-sono-insormontabili?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsenc=p2ANqtz-8doFQlFhuiI3PM6Z3yLqPYUt-JebkwP7rASSyCTQ0gKYZBmem-9L43PITYcCSrRwbOVcShBHg730PNI6e4hfScOGHHsQ&_hsmi=352426116&utm_content=352426116&utm_source=hs_email

Nuovo Testamento: una nuova traduzione ecumenica

È stata presentata il 25 febbraio, presso la Chiesa Valdese di Piazza Cavour a Roma, la «traduzione letteraria ecumenica» (TLE) del Nuovo Testamento. Si tratta dell’esito di un progetto di lungo corso, nato nel 1988 in ambito ecumenico su iniziativa della Società Biblica in Italia (SBI)


Sorte in ambito protestante all’inizio del XIX secolo con l’obiettivo di offrire delle traduzioni accurate della Scrittura nelle diverse lingue, le Società bibliche hanno assunto dalla metà del XX secolo una dimensione fortemente ecumenica. Il coinvolgimento della chiesa cattolica nel movimento ecumenico dopo il Concilio Vaticano II ha visto scaturire nel 1968 – dalla collaborazione tra il Segretariato per l’unità dei cristiani e l’Alleanza biblica universale.

La novità del progetto è stata la scelta di procedere a una traduzione essenzialmente letterale, più fedele ai testi (secondo il criterio della «equivalenza formale»), che la distingue dalla TILC. Ovvero, una traduzione che si vuole più attenta al rispetto della forma e del mondo del testo, piuttosto che alla sua «funzionalità» comunicativa nelle lingue correnti; attenta a «una forma dignitosa e apprezzabile» e capace di «rinviare il lettore alla “lontananza” nel tempo e nello spazio del testo di partenza»

La recensione di Marco Bernardono è a questo link:

https://www.settimananews.it/bibbia/testamento-nuova-traduzione-ecumenica/

Congo. A Goma e Bukavu popolazione affamata e impaurita. Un patto per la pace proposto da cattolici e protestanti

La Conferenza episcopale del Congo (Cenco) e la Chiesa di Cristo del Congo promuovono un “Patto sociale per la pace”. Dopo incontri con leader africani e ribelli dell’M23, chiedono all’Europa di portare la voce congolese al Consiglio di sicurezza Onu

A Goma e Bukavu la situazione è gravissima, sia dal punto di vista umanitario, sia della sicurezza. Nelle due città del Nord e Sud Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo, occupate dal movimento M23 sostenuto dal Rwanda, la popolazione ha paura, non esce in strada dopo il tramonto e prima dell’alba. In giro ci sono ribelli e migliaia di detenuti fatti uscire dalle carceri. Non c’è più un militare o un poliziotto, nessuno può proteggerli, non sanno a chi chiedere aiuto. Vanno a dormire la sera senza sapere se al mattino saranno ancora vivi. A Bukavu l’esercito governativo è fuggito senza opporre resistenza, abbandonando le armi. Ora quelle armi sono nelle mani di gang di adolescenti che minacciano, saccheggiano e rubano.  I ribelli si sono installati pacificamente, dopo la fuga dell’esercito, e hanno preso il posto delle autorità locali. Hanno il fucile facile e mirano dritto alla testa se incontrano qualcuno che non li capisce...

L'articolo di Patrizia Caiffa è a questo link:

https://www.agensir.it/mondo/2025/03/20/r-d-congo-a-goma-e-bukavu-popolazione-affamata-e-impaurita-un-patto-per-la-pace-proposto-da-cattolici-e-protestanti/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2

La III Domenica di Quaresima abbiamo pregato così ...

 Il nostro cammino in questa Quaresima

I Domenica

II Domenica

III Domenica

Credo in chi?

Credere alle sue promesse

Credere al Dio della vita





Introduzione

La Parola di Dio di oggi non manca di tratteggiare il volto autentico di Dio. Alcune domande ci sono state poste nelle due domeniche di Quaresima precedenti: crediamo in chi? In Dio? E se sì, come agisce? Possiamo fidarci di lui e delle sue promesse? Come nelle scorse domeniche, scopriamo un paio di risposte anche in questa. La prima possiamo scoprirla dalla prima lettura di oggi: Dio non corrisponde più al Dio anonimo del sacro, colui che viene venerato, ma di cui si ha anche paura. Egli definisce sé stesso con un’espressione enigmatica: «Io sono Colui che sono!» che potrebbe esser tradotta in “Io ci sono” e “Sono qui, presente” o ancora “Mi conoscerai da quello che faccio”. Davanti all’uomo si fa conoscere come Colui che ha un nome, che si può interpellare, con il quale il dialogo è possibile perché ascolta “il grido del suo popolo e conosce le sue sofferenze” e opera per portare salvezza e vita nuova. Una seconda risposta viene da Gesù. Egli libera Dio da responsabilità che gli vengono attribuite ingiustamente. E propone un atteggiamento, uno sguardo diverso su una questione sempre attuale: la disgrazia è una conseguenza di un peccato? Gesù utilizza due esempi: uno che gli è stato riferito (il massacro di galilei nel Tempio, per ordine di Pilato), l’altro di cui è venuto lui stesso a conoscenza (il crollo di una torre che ha provocato la morte di diciotto persone). E rovescia interamente il modo di vedere della gente. Ricorda che ognuno è peccatore ed ognuno è chiamato a convertirsi. Ma convertirsi non significa ostinarsi sul peccato, ma aprirsi al dono di Dio, che fa sempre il primo passo verso l’uomo donando il tempo di riscoprire una nuova vita da coltivare perché Lui è il Dio della vita. Questo sta scritto nelle foglie aracioni che abbiamo appeso all'Albero di Pasqua.


Intenzioni Penitenziali

  1. Signore, se non ascoltiamo il grido degli oppressi che cercano la pace nella giustizia - Kyrie eleison

  2. Cristo, perdonaci se non riconosciamo nelle vicende quotidiane un forte invito alla conversione - Kriste eleison

  3. Signore, perdonaci se non valorizziamo la tua costante e paziente opera per renderci capaci di portare frutti di bene - Kyrie eleison


    Preghiere dei Fedeli

    1. Come ha scritto Papa Francesco per questa Quaresima: “La speranza è l’ancora dell’anima, sicura e salda”: perché la nostra conversione si ancori alla Parola di Dio e perché la salute del Santo Padre migliori di giorno in giorno: preghiamo.

    2. Signore, ti preghiamo per la conversione di chi può decidere le sorti dell’umanità; uomini adulti, intelligenti, colti, ricchi e potenti che mandano giovani, spesso i più poveri, a uccidere altri giovani come loro, con gli stessi sogni e le stesse speranze; preghiamo.

    3. Gesù, che non condanni mai nessuno, neanche i tuoi accusatori, e ci perdoni prima ancora che compaia in noi il pentimento, ricordaci che ogni giorno siamo salvati per poter reinventare la vita, tornare a essere umani e smettere di comportarci come animali; preghiamo.

    4. Per noi e la nostra comunità. Signore donaci il tuo spirito e aiutaci a credere e convertirci alla tua parola di vita nella nostra vita in famiglia, nel lavoro, nella parrocchia, per la strada, nei social; preghiamo.


      Antifona di Comunione

      «Se non vi convertite, perirete tutti», dice il Signore". (Lc 13,5) 

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      Alla fine della Messa agli Scout è stato consegnato un ricamo inviato in omaggio come segno di gemellaggio da un parallelo gruppo di un villaggio palestinese vicino a Ramallah




Il Foglietto "La Resurrezione" di domenica 23 marzo




Debiti da rimettere, umanità da ritrovare

Nell’anno del Giubileo, papa Francesco è tornato su una richiesta che era già stata oggetto di una campagna internazionale in occasione del precedente Giubileo dell’anno 2000.


Il tema si chiama debito del Sud del mondo o, meglio, il debito che i governi dei Paesi più poveri hanno verso entità estere: non solo Banca Mondiale e governi di altri Paesi, ma anche soggetti privati come banche, fondi di investimento e fondi speculativi. Il debito estero è una porzione del debito pubblico di particolare importanza perché deve essere ripagato in dollari, in soldi, cioè, che si possono avere solo esportando i propri prodotti o attirando molti turisti, due attività non facilmente espandibili nel breve periodo. Nell’anno 2000 il debito estero dei 137 paesi a reddito medio e basso ammontava a 2mila miliardi di dollari, ma nel 2023 lo troviamo più che quadruplicato a 8.800 miliardi. In tema di debito, tuttavia, oltre ai termini monetari contano i ...

L'articolo di Francesco Gesualdi è a questo link:

III Domenica di Quaresima - Lc13,19

Questo è il cammino in questa Quaresima: Credere in Dio, ponendo fiducia sulle sue promesse perchè lui è il Dio della vita...

Difronte al fico: "taglialo" "lascialo" e il contadino aggiunge: se non darà frutti, “tu lo taglierai” non io. È una sfida, quella della vita e la dimostrazione che l’obbedienza non sempre è una virtù.

 

Indicati i compiti del cristiano nel mondo, il loro modo di vivere nel Regno di Dio tra di noi inaugurato dall’Anno di Grazia e alla proposta di essere misericordiosi, cioè datori di vita come il Padre, seguendo Gesù siamo entrati nel periodo di rinnovamento che è la Quaresima con l’avviso sulle pericolose seduzioni nell’uso del proprio potere che può condurre a utilizzare le cose, le persone e Dio per i esclusivi fini personali. Pericolo che si può superare confidando, credendo nel Dio che riconosciamo di aver incontrato guardando la nostra storia, sull’esempio di Gesù che è stato confermato dal Padre domenica scorsa con l’invito ad ascoltare la sua Parola ricca di promesse nelle quali ci chiede di porre la nostra fiducia.

Promesse che lui non smentisce mai e porta sempre a compimento nonostante la nostra incredulità. Guardandola si china offrendoci gli strumenti per superare le difficoltà, le sofferenze, rivelandosi così come il Signore misericordioso che offre vita, lui è il Dio della vita che desidera sia da noi vissuta in quella pienezza alla quale siamo stati chiamatiHa pietà del suo popolo” ci fa testimoniare il Salmo responsoriale (Ps 103) ricordando la storia della salvezza a partire dal roveto ardente (prima e seconda Lettura).

 

Oggi l’Evangelo spazza via una falsa immagine di Dio che purtroppo fa fatica ad essere superata e ogni tanto riemerge anche oggi. È facile che si senta chiedere dove lui sia quando accadono tragedie di ogni tipo, da catastrofi naturali (il crollo di un edificio con le sue vittime), ad eventi nei quali viene spazzato via nel sangue un gruppo di contestatori magari coinvolgendo innocenti civili. Peggio ancora se si leggono questi eventi oppure inondazioni o terremoti come una punizione di Dio nei confronti di chi soccombe.

In quello stesso tempo” inizia la pericope odierna e, questa allocuzione, fa da congiunzione alla domanda fatta da Gesù alla fine del capitolo precedente: “Come mai non sapete valutare questo tempo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto” (Lc 12, 56b-57) invitando tutti, anche noi, a prendere responsabilità e coscienza di quanto ci accade attorno senza affidarci al pensiero di altri o appiattendoci come si dice oggi al “mainstream”, al pensiero prevalente. Alcuni dei presenti ci provano riferendo la feroce repressione di Pilato verso un gruppo di Galilei (forse un gruppo di Zeloti che erano radicati in quella regione) pensandola come una punizione divina. No, dice Gesù, quei morti non erano più “peccatori” di tutti gli altri galilei, come non erano più “colpevoli” (il termine usato si dovrebbe tradurre più correttamente con “debitori”) quelli che perirono sotto il crollo della torre di Siloe rispetto a tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Fate piuttosto attenzione a voi che se non modificherete il vostro modo di vivere e di pensare “perirete tutti allo stesso modo”. Se non vi convertirete e iniziate a mettere al centro della vostra vita il bene dell’altro e non l’esclusivo vostro interesse, vi autoescludete da soli dal Regno del Padre, da una esistenza vissuta in pienezza e continuerete a vivere nell’oscurità.

Gesù spezza il legame tra la nostra incapacità di rimanere fedeli all’Allenza e le disgrazie naturali o le violenze anche quelle istituzionali. In quelle vittime non vede dei peccatori, ma degli esseri umani, vede solo delle vittime. Il suo è lo sguardo di compassione del Padre che non giudica ma vivifica, non punisce ma offre nuove possibilità e collabora perché queste accadano. Qual è allora il metro per “giudicare”? La Parola ascoltata nella preghiera, accolta e messa in pratica all’interno degli eventi storici che ci coinvolgono non permettendo che rimangano dei fatti senza nesso, ma scoprendo in essi quei germogli, quelle indicazioni di vita che hanno in se stessi. Tutto ha un senso se letto con gli occhi del Dio della vita. È necessario scoprirli incrociandoli con la Parola e “ascoltarli”, osando il rischio dell’interpretazione sapendo che nessuna di queste può essere unica od univoca e neppure definitiva; ma ogni ricerca di senso aiuta a rispondere al mandato di vivere davanti al Dio della vita in questo mondo, non fuori di esso come Gesù insegna (Tt 2,12).

Nei due fatti evocati e nella parabola del fico, che nella Scrittura è rappresenta Israele (per esempio in Os 9,10 – 1Re 5,5), corre il filo rosso della morte. È significativo il dialogo che intercorre attorno all’albero che non produce frutti da tre anni (un tempo compiuto): “taglialo”, “lascialo” e il verbo qui usato è quello che indica la remissione dei peccati e la liberazione dal male. È l’affermazione che mai nulla è perso definitivamente, che bisogna dare sempre un’altra possibilità impegnandosi di persona affiancando l’altro, sostenendolo, incoraggiandolo, assumendosi il rischio del fallimento. Ma il contadino aggiunge: se non darà frutti, “tu lo taglierai” non io. È una sfida, quella della vita e la dimostrazione che l’obbedienza non sempre è una virtù.

(BiGio)

Delegazione Cei ad Abu Dhabi, “le religioni possono diventare fermento di fraternità e germe di coesione sociale”

Dall’8 al 12 febbraio una delegazione della Cei è stata ad Abu Dhabi per l’incontro “Formazione e scambi nel contesto del Documento sulla fratellanza umana e delle sue ricezioni”. 


Il viaggio di formazione è stato organizzato dagli Uffici per il dialogo interreligioso ed ecumenico della Cei e del Vicariato apostolico dell’Arabia meridionale, e dalla Chiesa di San Francesco che è parte dalla Abrahamic Family House. Mons. Derio Olivero: “Essere qui ad Abu Dhabi e in particolare nella Abrahamic Family House, è essere dentro un sogno che prende corpo. Penso che per tutti noi sia importante essere qui perché è vedere che è possibile credere che le religioni possono diventare fermento di fraternità e possono convivere con un comune desiderio: stare nello spazio pubblico insieme per essere un germe di coesione sociale”.

L'articolo di M. Chiara Biagioni è a questo link:

https://www.agensir.it/chiesa/2025/02/12/delegazione-cei-ad-abu-dhabi-le-religioni-possono-diventare-fermento-di-fraternita-e-germe-di-coesione-sociale/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2