Capite quello che ho fatto per voi? Fate questo in memoria di me.

 Gv 13, 12-17: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. (…). Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica».


Mi immagino la faccia dei dodici, le occhiate furtive tra di loro, l'imbarazzo.
Che sia veramente impazzito?
Lo seguono con lo sguardo, in silenzio.
Si alza da tavola.
Si spoglia dei suoi vestiti.
Si copre con un grembiule.
Prende un secchio, dell'acqua e si mette a lavare i loro piedi. Uno per uno. Senza fretta.
Li asciuga con il grembiule che si è annodato in vita.
E poi si riveste e si risiede ancora con i suoi.
Silenzio. Nuovo imbarazzo.
La mia attenzione si ferma lì e ogni volta sono invaso dallo stupore.
Gesù non prende tra le mani la testa dei discepoli, con tutti i loro sogni, gli ideali e i propositi. Il Figlio di Dio si mette in ginocchio davanti alla ciurma scompaginata dei suoi amici e prende tra le sue mani i loro piedi, cioè il contatto con la terra, le fragilità, le debolezze, le povertà. I piedi sono l'equilibrio, il cammino e reggono tutto il peso del corpo. I piedi dicono verso dove stiamo andando e verso chi stiamo camminando.
I piedi possono fare radici, sprofondare nell'immobilità e gonfiarsi di egoismi.
I nostri piedi, sono nelle mani di Gesù. Così come sono, senza prelavaggi.
Il Rabbi di Nazareth ci spoglia di tutte le nostre maschere e di tutte le nostre corazze.
Davanti a Lui possiamo essere quello che siamo, non dobbiamo vestire altri panni o entrare nel ruolo.
Davanti a Gesù possiamo davvero svestirci di tutti i nostri travestimenti.
Lui conosce il nostro cuore, sente vibrare le nostre passioni e nostri dolori, conosce la nostra sete di verità e le povertà quotidiane del nostro vivere.

Di nuovo in ginocchio, il grembiule ai fianchi, chinato, giù, sui piedi. I nostri, questa sera.
Non alza la testa sopra la caviglia, non fa differenze tra i nemici e i nemici, tra i fedeli e i traditori.
I piedi di Giovanni e i piedi di Giuda sono passati nelle Sue mani senza distinzioni.
(Paolo De Martino)

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I Sinottici raccontano l’ultima cena con l’istituzione dell’Eucaristia mentre Giovanni, al suo posto, narra la lavanda dei piedi.

L’uguale significato dei due diversi racconti è sintetizzato nelle parole finali della consacrazione al centro delle nostre Liturgie e che tendono a scivolare via dalla nostra attenzione. 

Eppure quelle parole, che possono sembrarci marginali o solo un appello per ripetere le parole sul pane e sul vino per farle diventare il suo Corpo e il suo Sangue, sono invece essenziali: sono il vero centro.

Quel “fate questo in memoria di me” vuole infatti soprattutto invitarci a fare della nostra vita quello che Lui ha fatto della sua: pane spezzato e vino condiviso per la vita di coloro che il Padre gli ha affidato, tutta l’umanità.

Per questo, partecipando a quell’unico Pane che è il suo Corpo, assimilati a lui, diventiamo una Comunità chiamata e renderlo attuale nella nostra vita di tutti i giorni.

È questo il patto che sugelliamo ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia ed è uguale a quello stipulato ai piedi del Sinài, dove il Padre propone ad Israele di essere segno nel mondo della sua misericordia dando le coordinate per poterlo essere (le “Dieci Parole”). 

Sia noi che Israele siamo cioè chiamati ad essere il Suo “sacramento” nel mondo. Il farlo è la risposta che possiamo dare al suo essersi donato gratuitamente a noi, senza chiederci nulla in cambio, all’aver posto il suo cuore a fianco della nostra miseria delle nostre difficoltà riscattandole.

La “novità” non sta allora in una “diversità” tra le due Alleanze, ma va cercata nella possibilità di rimanervi fedeli lungo tutta la nostra vita grazie a Gesù di Nazaret, uomo come noi che vi è riuscito lungo tutta la sua vita, in ogni istante la sua vita, pur essendo immerso nelle tentazioni come noi. Una vita vissuta così è degna di essere resa eterna: è questo il “sì” del Padre.



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