Capire assieme, sperimentare, condividere: i modi di incontrare il Risorto
È nell’esperienza di ciascuno di noi quella di rimanere a volte storditi da quanto accade. Quando capita si può giungere a ripiegarsi su sé stessi guardando le nostre ferite, il nostro dolore fino ad estraniarci da quanto accade attorno e a non percepire null’altro che la nostra amarezza, angoscia, paura, come se fosse l’unica nell’intero mondo. Emerge solo il nostro io, esiste solo questo fintantoché non accade qualcosa che ci fa alzare lo sguardo (quante volte nella Scrittura questo accade; a volte come invito, altre come dato di fatto…).
È un risveglio, a volte brusco, inatteso anche se in fondo in fondo auspicato. Costringe a guardarsi attorno e a scoprire che non si è soli e, magari, che la nostra è una situazione condivisa.
Gli undici e le donne erano stati raggiunti nel Cenacolo dai due di Emmaus: non li attendevano ma ora si ritrovavano a commentare quanto accaduto loro: ecco lo sguardo che si allarga, si alza… È necessario assieme cercare di capire quanto sta accadendo ed ecco qualcos’altro di inimmaginabile: si accorgono che Gesù sta in mezzo a loro. Rimangono turbati, sorpresi, dubbiosi: possibile? sarà vero o stiamo sognando?
È faticoso riconoscere il Signore nelle nostre realtà. Si è più abituati alle cose negative e quando accade qualcosa di positivo ci si chiede subito: “quanto durerà? dove è la fregatura?”. Oppure quando ci sta andando tutto bene e accade un piccolo inciampo: “non poteva andare tutto bene, dovevo aspettarmelo”.
Per nostra fortuna lui non si stanca di continuare a venire e di stare in mezzo a noi rassicurandoci: “sono proprio io![1]”, “guardate le mie mani e miei piedi, toccatemi” vale a dire: “la mia umanità è ferita come la vostra, non esorcizzatela, guardateci dentro, non fate finta di nulla, è nelle vostre debolezze che manifesto la mia forza” (2Cor 12,9).
Possiamo fare esperienza del Risorto, cioè far parte della sua realtà, solo se riusciamo accogliere e a stare, con coerenza e fiducia nelle nostre debolezze, nelle nostre fragilità, nelle nostre fatiche, nelle nostre sofferenze. In quelle nostre e in quelle di coloro che ci stanno attorno. Sono le stesse piaghe di Gesù nelle quali è risorto. È lì che lo possiamo riconoscere ed accogliere, fino a condividere in amicizia assieme un pezzo di pesce arrostito; la mensa durante la quale ci aprirà la mente all’intelligenza delle Scritture e ci ritroveremo rappacificati con noi stessi e con lui, grazie a lui.
Per non rimanere in bilico tra incredulità e stupore, è necessario farne esperienza concreta, toccare con le nostre mani. Non basta sentire raccontare, non basta ascoltare un annuncio per quanto convincente possa essere: è basilare che la nostra stessa persona venga e sia coinvolta.
Anche per gli altri, non basta il nostro annuncio, serve testimoniare l’incontro personale che abbiamo avuto con lui, sostenuto dalla sua Parola frequentata, meditata, amata, vissuta e capace di trasformare la nostra vita, perché non torna indietro senza aver recato effetto (Is 55,11). È in questa che troviamo la ragione di quanto accaduto ed è questa che ci fa credere. È l’esperienza fatta dai discepoli sulla strada per Emmaus, è quella fatta nel Cenacolo che l’Evangelo oggi ci ha raccontato. Solo dopo potremo annunciare “a tutte le genti”, ma “cominciando da Gerusalemme” dalla nostra realtà, dalla nostra Comunità, dalla nostra Chiesa, scambiandoci l’un l’altro la nostra personale concreta esperienza del Risorto.
Lieta Domenica a tutti
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