Nel punto in cui la vita finisce, mani discrete depongono il corpo morto del Cristo nella tomba e sigillano il Logos con una pietra, riducendolo al silenzio. La Chiesa caratterizza questo giorno come l’unico dell’anno senza nessun tipo di celebrazione liturgica. Gli altari sono spogli e senza ornamenti, si spoglia anche quello della reposizione, le candele sono spente, le campane sono mute. Tutto tace.
Il Giovedì santo potevamo toccarlo nei segni del pane e del vino e il Venerdì santo si poteva vederlo innalzato sulla croce, udendo le sue ultime parole. In questo Sabato tutto è vuoto, anche la croce. Una pietra tombale sembra aver chiuso definitivamente la questione. La sepoltura dice chenosi totale. Un conto è morire e un conto è essere morti per davvero. È l’ultima tappa della discesa. Il simbolo degli Apostoli gli ha dato tanto importanza da farne un articolo di fede: «morì, fu sepolto, discese agli inferi». Nel linguaggio apostolico gli inferi erano le parti più basse della terra, lo Sheol, il regno dei morti. La risalita comincia lì dove più profondo è l’abisso della morte.
Per San Paolo scendere nell’abisso, è far risalire Cristo dai morti (Rom 10,7). Si tratta quindi di un atto che vede il Cristo annunciare una salvezza anche per i morti (cf. 1Pt 3,9). È una risalita cosmica che ha inizio dai frammenti. Per questo, più che produrre lamenti sul corpo morto, i padri orientali hanno parlato del sepolcro già in termini di risurrezione. Il Sabato Santo è pure il giorno che ci permette di parlare della morte in modo nuovo. Cristo non libera dalla morte biologica, ma ne rivoluziona il senso, privandola del suo aspetto ostile. La morte non mostra più il ghigno beffardo di una nemica ma, come scrive san Francesco nel Cantico delle creature, il volto amico di una “sorella”, per la quale si può anche benedire il Signore: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale».
Percorrendo il silenzio di questa oscurità mortale la comunità̀ giunge alla notte più importante di tutte. Siamo ora pronti a celebrare la madre di tutte le notti: la veglia pasquale. La luce di Dio splende nella notte. O notte beata, diremo nel canto dell’Exultet. Si accenderà un fuoco e da esso un cero, portandolo in processione in una chiesa buia. È il simbolo della fede che accende la notte. O notte beata! In essa tu ci hai creato, in essa ti sei incarnato, in essa ci hai redento. O notte beata della nostra liberazione. Attraverseremo il mare dell’amarezza e i nostri piedi saranno asciutti. Notte beata in cui i tessuti dell’universo verranno ricomposti. O notte beata! E beati color che sapranno cantare il loro canto d’amore proprio nella notte.
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