È strana l’indicazione di tempo che apre l’evangelo odierno, letteralmente “l’indomani, dopo la Parasceve” (cf. v. 62). Siccome la “Parasceve” designa il giorno di preparazione al sabato, ciò significa che quanto è narrato avviene in un giorno di Shabbat, festa delle feste per Israele. Ma perché non dire semplicemente che era sabato?
È sempre difficile, o addirittura rischioso, interpretare un silenzio. Ma in questo caso, non si tratta di un silenzio, bensì di un aggiramento. Sembra che l’evangelista cerchi il modo per parlare del sabato senza nominarlo. E forse il seguito del racconto ne spiega il perché. Questo “indomani” del venerdì della crocifissione di Gesù è tutto impiegato dalle autorità religiose, sacerdoti (dunque sadducei) e farisei coalizzati, per chiudere, sbarrare e sigillare: si tratta di rinchiudere inesorabilmente il Crocifisso nella sua tomba, in modo che la morte prevalga definitivamente sulla vita. Di sabato, quelli che pretendono di santificarlo fanno esattamente il contrario di ciò per cui il sabato è stato dato, sicché quel giorno non fu shabbat per i viventi; lo fu soltanto per il Morto.
I “vivi” sono molto indaffarati – ciò dà a loro l’impressione di essere in vita –, ma lo sono a servizio della morte e in questa occasione è ancora Pilato, il pagano, che fa la figura meno brutta!
Dal canto suo, il Morto riposa, fa shabbat, come le donne (cf. Lc 23,56). Ma la tradizione cristiana, già a livello degli scritti neotestamentari, proclamerà che anche in quel giorno di sabato Gesù, il morto, operò, come fa anche il Padre suo (cf. Gv 5,17): se i vivi – cadaveri ambulanti – cercano di chiudere e di sprangare, il Morto, invece, – vincitore della morte e veramente vivente – infrange le porte della morte e degli inferi e libera i prigionieri della morte per farli entrare, insieme a lui, nella gioia del Padre suo. È quanto risulta dal testo difficile di 1Pt 3,19 che associa alla morte di Gesù la sua visita “agli spiriti che erano in carcere” per portare loro l’annuncio della sua vittoria sulla morte, cosa che è diventata nella confessione di fede della chiesa la discesa vittoriosa di Cristo negli inferi.
In quel sabato, sabato santo, si compì pienamente ciò che Gesù aveva già anticipato quando era in Galilea. Prima di guarire un uomo in un giorno di sabato, aveva chiesto ai farisei che lo spiavano se fosse “lecito, di shabbat, fare il bene o il male” (Mc 3,4). Non ricevette risposta, o meglio, la risposta fu che i suoi avversari andarono subito dopo a consultarsi con gli erodiani sul modo di sbarazzarsi di lui (cf. Mc 3,6), manifestando così che anch’essi facevano un lavoro di sabato, e dunque che la questione non è se lavorare o non lavorare, ma se ciò che si fa è per la vita o per la morte: questo determina se si osserva o no il sabato, perché “il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27), cioè il sabato è per la vita, non per la morte.
È ciò che ribadisce con forza il grande sabato – oggi – e che l’evento pasquale verrà a confermare.
(fratel Daniel)
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