Quattro notti in comune e un'attesa nuova


Nei commenti di questa Settimana Santa, due volte si è sottolineato il numero quattro come centrale nelle celebrazioni pasquali della tradizione ebraica e cristiana. Si è anche detto che il quattro ritorno anche nel fare memoria di 4 notti. Sia nell’ebraismo che nel cristianesimo sono le identiche quattro notti. Nella Veglia Pasquale cristiana sono previste sette letture, quattro delle quali sono “obbligatorie” e corrispondono alle notti che Israele celebra nel suo Seder Pasquale.
 

Sono le notti della Creazione, del “legare” di Isacco (e non del suo sacrificio come si è spiegato nel commento della seconda domenica di questa Quaresima), dell’Esodo e della venuta del Messia (o della Risurrezione).


Il Sabato Santo è il giorno di attesa che la quarta notte si compia nello stupore di tutte le creature nel vedere quello che non si pensava impossibile: il Signore della vita, il creatore della vita giace deposto in un sepolcro. Oggi il sepolcro racchiude colui che contiene nella sua mano il creato; una pietra copre colui che ricopre i cieli con la sua potenza e la sua gloria.


Com’è possibile questo? Di fronte a questo evento non rimane che attendere increduli, in silenzio, per non perdere nulla di ciò che può, che si spera, che deve accadere … in silenzio, con la pelle sollevata, con tutti i sensi in vigilane attesa, con gli occhi sgranati per percepire ogni minimo movimento; con le orecchie tese a cogliere il più piccolo rumore …


Questo è il giorno della grande attesa. Oggi è il giorno del riposo dell’amico degli uomini. Ma il riposo di Cristo nella tomba è un sonno fecondo di vita: “come il grano caduto in terra porta molto frutto pur essendo piccolo e da solo valendo nulla”, così Gesù, rigettato dagli uomini e considerato meno di nulla, giace nella terra.

Ma la sua immobilità è solo apparente, in realtà sta cercando con pazienza ed immenso amore tutti gli uomini che fino a quel momento non aveva incontrato. Sta cercando di portare la luce del suo amore in ogni più nascosto angolo buio anche del nostro animo, in quelli che noi stessi non conosciamo; in quegli angoli che rimangono sempre un po’ increduli, incapaci di perdonare, di amare colui che ci ha amato.

A questi angoli, a questi uomini, anche a quelli che lo hanno incontrato e rifiutato, egli dona il suo amore, la sua pazienza, il suo perdono.


Questo è il giorno anche della grande impazienza e gridiamo con il profeta: “Tu sei sdraiato ed addormentato come un leone, chi oserà svegliarti o re?”, “Ma risorgi con il tuo potere, tu che hai dato te stesso alla morte per noi. Signore, gloria a te!”


“O tu che dormi svegliati! Levati di fra i morti!”, “Risorgi o Dio!”


Un inno ebraico composto nel sedicesimo secolo e che viene cantato a Shabbat, ripetutamente si invoca l’Amato, invitandolo con versi rubati al Cantico dei Cantici: Lekà dodì, «Vieni, amato mio. Vieni in pace con allegria, con canto e con giubilo, in mezzo ai fedeli del popolo, tesoro, vieni, vieni!» 


Facciamolo nostro in questo giorno santo.

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