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Nell’abisso del silenzio di Dio


Possiamo definire il Getsèmani come la passione interiore del Messia: gli episodi successivi raccontano ciò che gli uomini hanno fatto a Gesù, qui viene rivelato ciò che Egli ha provato nel suo animo. Nella prima parte del racconto è dominante un movimento di separazione: Gesù si separa dai discepoli, poi da tre discepoli prediletti, infine resta solo. Con questo si fa risaltare la solitudine di Gesù: nella prova Egli è solo di fronte al Padre. Lo invoca, ma anche il Padre sembra rimanere in silenzio. Gesù cerca la compagnia dei discepoli, ma essi dormono. Gesù è veramente solo. 

Ma il punto centrale dell’episodio è la preghiera di Gesù al Padre, che esprime una sorta di lacerazione interiore. Al di là di tutto c’è un punto fermo: la consapevolezza del proprio rapporto filiale con Dio: «Abbà», babbo. È una consapevolezza che non viene mai meno neppure nella prova. Ed è proprio qui che nasce l’implorazione: «Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice». Se Dio è Padre e può tutto, perché non sottrae alla prova? È questa la domanda spontanea dell’uomo, anche dell’uomo-Gesù. Ma dopo l’implorazione, ecco la fiducia rinnovata, l’abbandono senza riserve: «Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu».

Se all’inizio dell’episodio ci viene descritto un Gesù angosciato e impaurito, alla fine - dopo la preghiera - ci viene descritto un Gesù che ha ritrovato la serenità e la fermezza: «Alzatevi, andiamo, colui che mi tradisce è vicino». Il Padre non ha sottratto Gesù alla Croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla. Il silenzio di Dio è un modo diverso di parlare. 

Nella scena degli oltraggi Gesù è negato nella sua duplice identità. Negato in quella logica di donazione che ha guidato tutta la sua vita: donazione che qui viene capovolta, incompresa e ritorta contro di Lui: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso». Ed è negato nella sua origine, nella sua messianità e nella sua filiazione, nella sua comunione con Dio: «Il Messia scenda dalla Croce e crediamo». Di fronte a Gesù - se guardiamo la scena dal punto di vista dei presenti - si scorgono due tipi di fede, e Gesù in Croce ne è lo spartiacque: da una parte, la fede di chi pretende che il Messia abbandoni la Croce e compia miracoli (passanti, scribi e sacerdoti); dall’altra, la fede di chi, come il centurione, coglie la divinità di Gesù proprio nella Croce: «Vedendolo morire in quel modo disse: costui è veramente Figlio di Dio». È sulla Croce che si conosce veramente chi è Gesù e in che senso Egli è Messia e Figlio. Sorprende, ma secondo Marco il vero credente è un centurione pagano. 

(Bruno Maggioni - da: insiemesullastessabarca)

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