Questo affresco della resurrezione si trova nell’abside della chiesa di san Salvatore in Chora a Costantinopoli. Raffigura la discesa di Gesù agli Inferi, secondo la tipica rappresentazione bizantina. Aperte e calpestate le porte degli inferi che impedivano la resurrezione e gettate via le chiavi con le quali i morti erano imprigionati, legato e gettato a terra ormai impotente il Maligno, Cristo può prendere per mano Adamo ed Eva – e con essi tutti i morti – e condurli alla resurrezione.
Tutti gli uomini delle generazioni precedenti sono rappresentati: santi, re, profeti, con in testa, a sinistra, Giovanni Battista ed, a destra, Abele, il primo dei morti nella storia biblica. Mi ha sempre impressionato questo straordinario affresco riguardante la resurrezione.
Riporta la scritta: “He anástasis Iesoûs Christós”. Attenzione: non “La resurrezione di Gesù Cristo”, ma “Gesù Cristo è la resurrezione”.
Per questo noi cristiani possiamo dire che, come Gesù Cristo è il Vangelo e il Vangelo è Gesù Cristo, così la resurrezione per noi è solo Gesù Cristo e Gesù Cristo è la resurrezione. Ecco perché amare Gesù è amare la resurrezione, credere Gesù è credere la resurrezione, sperare Gesù è sperare la resurrezione. La resurrezione è solo questione di accoglienza di una parola, accoglienza che avviene nell’amore. Potremmo dire che la resurrezione è solo una questione di amore.
Nell’antifona pasquale noi cantiamo: “Surrexit sicut dixit! Alleluja!”, “È risorto come ha detto! Alleluja!”. Ma in un manoscritto medioevale c’è una variante che è straordinaria: “Surrexit sicut dilexit”, “Risuscitò come amò”, non “come disse (dixit)”. Si potrebbe dire: “è risorto come ha amato”, o anche “è risorto perché ha amato”.
(da: insiemesullastessabarca)
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