Gesù, il pastore "bello" perché ci conosce e per questo offre la sua vita al Padre e a noi
Domenica scorsa ci è stato presentato concretamente presente in mezzo a noi che ci apre il cuore all’intelligenza delle Scritture per farne nostra la loro sapienza e poter annunciare a tutti il superamento di quel limite dell’uomo che è il peccato.
Oggi ci viene detto che lui è il “buon pastore”. È questa una immagine molto presente nelle Scritture ma, nell’Evangelo di oggi, l’accento cade su quel “buono”, che vuol significare il “vero pastore” e lo è perché “offre la sua vita per le sue pecore” che è la ragione per la quale Dio si è incarnato.
Questa espressione ricorre nell’Evangelo di oggi ben cinque volte ed ha due valenze: Gesù consegna la propria vita al Padre e agli uomini; per questi ultimi è anche una proposta: la possibilità di trovare in lui il senso della propria esistenza.
La ragione più profonda del suo donare la vita agli uomini è il fatto che li conosce e li ama [1] così come sono, con tutti i loro difetti.
Li conosce perché ha fatto esperienza concreta di cosa significhi essere e stare con gli uomini: proprio perché ha sofferto e patito come noi è in grado di venirci in aiuto fino a dare la sua vita.
La conoscenza però non è univoca ma bidirezionale: è reciproca tra il pastore e le pecore. Queste ultime, senza il pastore sono perse e il pastore senza di loro non ha senso, non ha ragione di vita. Così il nostro Dio: gli uomini senza di lui sono uomini persi e senza di loro il Signore è privo della sua creatura sul quale ha versato e pone tutto il suo amore.
La Chiesa è chiamata ad annunciare questo Dio buon pastore, pastore vero perché lo è fino dalle origini del mondo; è chiamata a seguirlo fino a dare la sua vita per i propri amici. Le è richiesto di imparare a “conoscere” le persone che incontra. Chi poi nella Chiesa ha il ruolo di “pastore”, deve avere questo legame profondo con tutti coloro che vivono nella sequela del Signore. Due richieste impegnative sulle quali verificarsi continuamente.
Gesù poi dice: “ci sono anche altre pecore che non sono di questo ovile, anche per loro io offro la mia vita”. Nei sinottici c’è una precisazione: “ascolteranno anche loro la mia voce, diventeranno un solo gregge e un solo pastore” ma non un solo ovile. Gesù rispetta gli itinerari di ciascuno ma è venuto a dare la vita per tutti, perché tutti conosce e da tutti è conosciuto come ci annuncia anche Geremia (31,34): “Non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” e in Apocalisse 21,3 viene annunciato che alla fine dei tempi il Signore abiterà con i suoi popoli (al plurale!) “ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio”.
Questo è il senso dell’intera vita di Gesù e non solo della sua morte e risurrezione che, altrimenti, sarebbe un qualcosa di staccato, quasi fine a sé stessa.
Gesù inoltre dice: “io offro la mia vita da me stesso” ma anche che “questo è il comando che ho ricevuto da Padre mio”. La sua esistenza sta nel confluire fino a diventare una cosa sola l’affidamento alla volontà del Padre e la libera scelta di donare la vita. Anche suoi discepoli sono chiamati a vivere la medesima tensione: l’affidarsi alla volontà del Padre e a fare la libera scelta di vivere come lui ha vissuto, essendo quel pastore che vive per gli altri e non per sé stesso. Ne siamo capaci? Gli uomini che ci incontrano sperimentano questa offerta di vita?
La parola greca καλός non significa buono, ma “bello”; non allora il “buon pastore” bensì il “pastore bello” non certo per il suo aspetto, ma per il fascino e la forza di attrazione che vengono dal coraggio e dalla generosità di un gesto ribadito cinque volte: io offro! Non io domando: io dono. Non io pretendo: io regalo ma non per avere in cambio qualcosa, non per un vantaggio personale: per un dono d’amore come quello tra due sposi. Io offro la vita è molto di più che il semplice prendersi cura di un gregge.
[1] “Conoscere” nel linguaggio biblico significa l’aver fatto una esperienza concreta, fino a definire il rapporto sponsale
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