A Natale si era rimasti sorpresi perché Dio fatto uomo, ha iniziato a vivere come uno di noi nella nostra realtà, immerso nelle tentazioni come noi e avevamo iniziato a porci domande su chi in realtà fosse quel Gesù di Nazaret.
In Quaresima avevamo avuto delle risposte precise ma ora l’inaspettato e non tanto per la Risurrezione e già ci sarebbe bastato, ma per quello che si scopre dopo.
Il Risorto chiama “amici” i discepoli, quelli lo avevano tradito abbandonandolo e ora avevano paura della loro stessa ombra tanto da non uscire da casa; Maria che non lo riconosce e lo accusa di aver “rubato” il corpo del Signore; i due di Emmaus che era sconfortati e delusi…. nessuno che lo riconosce a prima vista …
Eppure Lui li cerca, non è una apparizione fugace, ma si ferma, sta, rimane in mezzo a loro che sono sconcertati; Lui li rassicura: Pace a voi (tre volte ricorre nel brano dell’Evangelo di oggi), vale a dire state tranquilli, rimanete sereni, non abbiate paura, restate voi stessi, quello che siete e gli mostra quello che hanno fatto al suo corpo martoriato, trafitto, flagellato...
Non da altro, da questi segni riconoscono chi ha voluto condividere in tutto la nostra natura, fino alla morte di croce, fino a voler portare Dio nell’unico luogo dove certamente Lui non c’era perché quella era la fine di coloro che, secondo il Deuteronomio, erano anche da Lui maledetti.
Nel suo essere, nel suo fare, nel suo dire non c’è accenno di rimprovero, non chiede di modificare nulla di quanto loro fossero e noi siamo. Ci accetta così, ci vuol bene nella nostra realtà incoerente, incerta nell’amare, incapace di dare fiducia, aver fede fino in fondo, di accettare il diverso, lo straniero, timidi nell’aiutare, ricchi solo di dubbi, capaci certamente di volgere lo sguardo altrove, di confidare solo sulla nostra capacità di ragionare, sul nostro raziocinio.
È questo scoprirsi accettati per quello che siamo che porta Tommaso e Maria a chiamarlo non solo Signore, ma “Mio Signore”, non più solo “Dio” ma “Mio Dio”, a significare un rapporto intimo, personale, pieno, ricco di benedizioni. Non più il Dio di un popolo, ma di ciascuno, uno per uno.
E il Risorto a quei disperati, a noi, dà un compito: portare lo Shalom ovunque, annunciare cioè la realtà nuova di una vita vissuta come Gesù ha fatto, nel modo che ci ha dimostrato possibile: rimanere sempre sotto la signoria di Dio, cioè la sua volontà di amore, di riuscire a vivere anche la nostra vita come l’ha vissuta Lui, fino in fondo. Questo significa rimettere i peccati: toglierli dal mondo, riconciliare il vivere dell'uomo, il nostro vivere con il Signore spazzando via ciò che ci deturpa ai suoi occhi. Non altro, perché Lui questo ha fatto: "Io non sono venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo" (Gv 12,47b).
È questo il dono della Pasqua. È questo che ci viene chiesto di scoprire, accogliere, fare nostro, realizzare con il suo aiuto, con lui che rimane con noi, al nostro fianco, a sostenerci, aiutarci, correggerci con amore tutti i giorni fino alla fine del mondo.
Sentirci chiamare amici. Esattamente come si sono sentiti chiamare i discepoli. Il Signore ci considera amici così come siamo. Ci ama pienamente per come siamo. È non solo: ci accompagna in ogni istante del nostro vivere, non ci abbandona. A noi sentire la sua presenza che fa la vera differenza sul senso del vivere, dell'amare, del morire.
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