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Afganistan: senza donne anche l'Onu si ferma. Ma ai talebani conviene?

Le Nazioni Unite annunciano uno stop temporaneo di alcune attività umanitarie in Afghanistan dopo la decisione dei Talebani di vietare alle donne di lavorare.


“Vietare le donne dai lavori umanitari ha immediate conseguenze critiche per la vita di tutti gli afghani. Alcuni programmi urgenti si sono già fermati a causa della mancanza di personale femminile”. È questo l’annuncio di Martin Griffiths, coordinatore dei soccorsi d’emergenza ONU in Afghanistan, che chiede al governo talebano di rivedere la decisione di vietare alle donne di lavorare per le associazioni umanitarie. La richiesta fa eco a quella del Consiglio di Sicurezza, “fortemente allarmato”, che chiede la piena ed equa partecipazione delle donne alla vita socio-politica dell’Afghanistan. La decisione, che esclude le donne anche dalle università e dall’istruzione secondaria, lascia le tante ong e agenzie dell’ONU attive nel paese senza personale. Oltre che essere altamente discriminatorio, il provvedimento avrà l’effetto di peggiorare ulteriormente le diverse crisi in corso in Afghanistan. Il paese è infatti altamente dipendente dal lavoro delle associazioni umanitarie, sia per i servizi offerti sia per l’occupazione creata dalle stesse. I Talebani stanno quindi preferendo un regime di apartheid di genere a scapito delle stesse economia e società afghane, in una rigida applicazione della sharia. Il divieto arriva infatti in un momento in cui il paese attraversa una grave crisi alimentare: secondo le Nazioni Unite, 23 milioni di afghani sono a rischio di insufficienza alimentare, mentre il 97% della popolazione vive in povertà.


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