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Mt 5,1-12 A – IV PA - Le Beatitudini

Beati quelli che rispettano la Torà nella quale Dio chiede al suo popolo di far in modo che “nessuno tra di voi sia povero” (Dt 15) e, rispecchiano quello che viene detto in Atti (4,32-37) “tra di loro non c’erano poveri”. In altre parole: Beati sono coloro che, mossi dallo Spirito di Dio, operano come lui piegandosi sui bisognosi. Coloro che non si comportano così, non sono “beati”.

La scorsa domenica Matteo ci ha detto che Gesù, saputo dell’arresto di Giovanni, ha lasciato la Giudea e, attraversando la Galilea delle Genti si è spostato a nord, a Cafarnao sulla cosmopolita Via del Mare. Qui ha iniziato a percorrere la zona, insegnando nelle sinagoghe, guarendo gli ammalati risanandoli dalle infermità che ne limitavano la possibilità di partecipare alla vita sociale e religiosa. Ha anche chiamato qualcuno di quelli che incontrava facendoli suoi discepoli, non chiedendo loro di fare un altro mestiere, ma di svolgere il loro non guardando solo al proprio interesse, ma al bene comune.

 

Oggi Matteo ci presenta Gesù che dalle Sinagoghe si sposta all’aperto perché tutti possano ascoltare il suo messaggio accolto da non solo da ebrei ma anche da stranieri. Per poter parlare a tutti sale su di una altura e gi discepoli gli si avvicinano. È in questi ultimi che, in controluce, possiamo vedere Mosè che salì sul Sinài avvicinandosi a Dio, mentre il popolo è rimasto alla base del monte; lì ricevette le due tavole con le Dieci Parole che poi trasmise al popolo in attesa. Similmente Gesù consegna le Beatitudini ai discepoli che sono chiamati a trasmetterle a tutti coloro che accolgono il loro annuncio.

Queste costituiscono il “manifesto” di Gesù che è una giustamente famosa pagina evangelica, fonte però anche di incomprensioni che a volte ne hanno pure fatto travisare il senso, spingendo a una spiritualità che poco ha a che vedere con il loro profondo significato e in contraddizione con quello delle intere Scritture ebraico-cristiane.

Sono dunque necessarie alcune precisazioni iniziando ad osservare che lo stile letterario delle beatitudini non le ha “inventate” Gesù: se ne incontrano spesso negli scritti e poemi antichi per esempio in Omero, ma anche nella Bibbia ricorrono in 44 occasioni, come nel Salmo 1 che inizia con: “Beato l’uomo che …”.

Altre due sottolineature importanti riguardano il loro numero e il numero delle parole che le compongono. Sono 8 (più una che riguarda solo i discepoli) per ricordare il giorno della Risurrezione che, come si sa, avvenne il primo giorno della settimana, il giorno dopo il sabato, cioè l’ottavo giorno, a simboleggiare il giorno dell’inizio della nuova creazione.

Settantadue sono le parole che compongono le Beatitudini a rappresentare tutti i popoli allora conosciuti e indicati in Genesi 10, per dirci che non riguardano solo gli ebrei o i discepoli di Gesù ma tutti gli uomini di ogni popolo, lingua e nazione.

La prima (Beati i poveri) e l’ultima Beatitudine (Beati i perseguitati) hanno il verbo al presente mentre tutte le altre lo hanno al futuro; significa che queste due, chiosando l’insieme, ne danno l’accento, la chiave interpretativa e determinano tutte le altre.

Luca scrive “Beati i poveri”, Matteo aggiunge una particella che può essere tradotta ugualmente con tre preposizioni nostre: diin o per lo Spirito. Certamente non “di” Spirito, cioè un “beati” a chi manca, è carente di Spirito (non sarebbe colpa sua ma di Dio che, invece, ama tutti in modo uniforme e indistinto). Nemmeno “in”, cioè quelli che pur essendo ricchi, ne vivono distaccati. È invece corretto “per” lo Spirito, cioè beati quelli che, spinti dallo Spirito, si fanno poveri con i poveri, sofferenti con i sofferenti; beati quelli che scelgono di farsi vicini a tutti, che si mettono a disposizione con tutto quello che hanno, che non trattengono nulla per sé stessi se non il necessario.

Facendo questo rispettano la Torà nella quale Dio chiede al suo popolo di far in modo che “nessuno tra di voi sia povero” (Dt 15) e, rispecchiano quello che viene detto in Atti (4,32-37) “tra di loro non c’erano poveri”. In altre parole: Beati sono coloro che, mossi dallo Spirito di Dio, operano come lui piegandosi sui bisognosi. Coloro che non si comportano così, non sono “beati”.

Beati perché di loro è il Regno dei Cieli”. Luca invece scrive “perché vostro è il Regno di Dio”. Il perché della differenza va cercata nella diversità di coloro ai quali i due evangelisti scrivono. Matteo lo fa per un uditorio che è in maggior parte composto da ebrei (è a loro che chiede anche ai discepoli di rivolgersi in maniera privilegiata) e, quindi, non può nominare il nome del Signore per loro proibito e lo sostituisce con “i cieli”. Poco prima aveva annunciato che il “Regno dei Cieli è vicino” e, in sintonia con gli altri evangelisti, desidera dirci che non solo che si è avvicinato, ma che noi ci siamo già a contatto di gomito, siamo già dentro: il regno della misericordia del Padre è sceso su di noi, tra di noi, è con noi; dobbiamo solo accorgercene.

Sotto questa luce vanno lette tutte le altre beatitudini: quelli che sono nel pianto, i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia perché nel Regno non ci saranno più bisogni e differenze; i misericordiosi che non è un sentimento, ma coloro che rendono presente l’amore del Padre in questa nostra realtà perché, quando vedono un altro nel bisogno, sentono come proprio il suo dolore che lo spinge ad intervenire.

Beati gli operatori di pace, quelli che costruiscono attivamente lo Shalom che non è semplicemente l’assenza di guerra, ma indica coloro che operano per l’integrità di ogni persona, cercando di offrirle gli strumenti per raggiungere quella pienezza alla quale è vocata e per la quale è stata chiamata alla vita. Sono questi che già ora vivono e sanno di vivere nel Regno dei Cieli: infatti il verbo è al presente.

Certa è anche un’altra cosa: il vivere secondo le beatitudini non comporta l’applauso della società, ma la persecuzione, l’emarginazione e questo sarà la prova che si sta vivendo secondo la volontà del Padre che contraddice la logica del mondo. Ecco perché anche qui il verbo è al presente.

(BiGio)

 

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