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II Domenica del Tempo Ordinario - Gv 1,29-34

Una colomba unisce il Giovanni il Precursore dei sinottici e il Giovanni Testimone del IV Evangelo

Giovanni con l’acqua del suo battesimo toglieva i peccati; Gesù, l'agnello, con il suo ci dona e ci immerge nel suo Spirito, nella sua realtà, ci rende uomini nuovi secondo la volontà del Padre, da lui “giustificati”, cioè resi giusti.



Ci sono dei film e libri che propongono riletture di un medesimo fatto visto dalla parte di ogni singolo protagonista, dal suo specifico punto di vista che può differenziarsi molto dai precedenti, fino anche a trovarsi su posizioni o soluzioni contrapposte, oppure integrandosi l’uno sull’altro fino a comporre o ricomporre un mosaico completo. È una realtà che sperimentiamo continuamente pure noi quando, confrontandoci su di un tema, emergono letture diverse ed allora dobbiamo decidere come procedere.

Una delle sottolineature che potevano venire dall’Evangelo della scorsa domenica era l’invito a seguire l’esempio dell’incontro tra Giovanni e Gesù svoltosi nella schiettezza delle loro divergenti opinioni, nel riconoscimento e rispetto reciproco, facendo alla fine una scelta non per compiacere l’uno o l’altro, non per sottomissione di uno all’altro né per amicizia, ma è per fare la volontà del Padre che si sono vicendevolmente aiutati a comprendere quale fosse nel comune ascolto delle Scritture. Questo dovrebbe essere il criterio e quello che caratterizza la vita delle comunità cristiane “Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella, madre” (Mt 12-46-50): uno stile realmente fraterno.

 

Oggi la Liturgia ci ripropone il Battesimo di Gesù ma nella versione dell’Evangelo di Giovanni nella quale incontriamo il Battista non più come il Precursore dell’Evangelo di Matteo di domenica scorsa, bensì in quella di Testimone. Questo ci è stato detto fin dal Prologo: “Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (…) Giovanni gli dà testimonianza e proclama:«Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me»”.

Giovanni era figlio di Zaccaria sacerdote e avrebbe dovuto prendere il suo posto al Tempio, invece era un esseno e, questi, contestavano il sacerdozio di Gerusalemme. Era anche un radicale e si era sparsa la voce che potesse essere lui il Cristo oppure Elia o almeno un profeta. Per questo i sadducei e i leviti, detentori del potere politico e religioso, gli mandano una commissione per cercare di capire chi fosse, ma Giovanni negò ogni ipotesi. Annuncia però che “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo” e il gruppo di inviati torna indietro con più domande di quelle con le quali erano venuti.

Il giorno dopo” – così inizia la pericope di oggi - Giovanni vede Gesù venire verso di lui e dà la sua testimonianza: “Ecco l’agnello di Dio…”. Ma come fa a riconoscerlo? 

Lo si intuisce seguendo quello che afferma. Innanzitutto per due volte dice: “Io non lo conoscevo” quindi parte dalla sua realtà e confessa, testimonia di essere stato anche lui sorpreso: attendeva un leone ruggente, un Messia fuoco e fiamme con in mano il ventilabro, si trova invece davanti a un inerme agnello come era stato annunciato da Isaia (53,1ss). Da questo comprendiamo che non è rimasto ancorato alle sue idee: questo è stato il suo primo passo che invita a fare anche noi dicendoci di fare attenzione, perché non è facile liberarsi dai preconcetti che ciascuno di noi man mano sedimenta nel suo cuore nell’avanzare degli anni.

Quindi “Testimoniò dicendo: “Ho contemplato …” ovvero, rimanendo aperto all’iniziativa di Dio, scopre la sua volontà e il suo modo, sempre nuovo di manifestarsi che si può comprendere solo nel confronto, nella preghiera delle Scritture (non per nulla la “contemplatio” è uno dei momenti della Lectio Divina, cioè della preghiera della Parola). 

Per dirci cosa ha contemplato, il Battista usa una immagine comune ai Sinottici: quella di una colomba come immagine dello Spirito ma, aggiunge, non solo discende dai cieli anche rimane su Gesù. In questo modo Matteo vuole richiamare una caratteristica dei colombacei: quella di tornare sempre al loro nido. Quindi Gesù appare come la “casa”, il luogo dove dimora lo Spirito. Come nei Sinottici la colomba richiama pure la dolcezza che sarà caratteristica e segnerà tutti i passi del Messia, le sue scelte piene di amore che lo porteranno a non spezzare mai una canna incrinata, a non spegnere un lucignolo fumigante (Mt 12,14-21 e Is 42,3-5). All’epoca di Isaia, un messo girava per la città con una canna incrinata – immagine di un condannato – e di un lume, per raccogliere eventuali testimonianze a discolpa del presunto colpevole; quando il lume terminava l’olio e si spegneva, se non erano emersi nuovi elementi, spezzava la canna incrinata e la sentenza diventava definitiva. Gesù è invece sempre stato misericordioso e accogliente con i peccatori quanto duro con la radice dei peccati: gli uomini sono sempre più grandi di ogni loro nefandezza perciò saranno sempre salvati, mentre le loro opere cattive saranno bruciate: ciascuno è così prezioso per Dio che lascia le 99 pecore per ritrovare quella che ha perso o si è smarrita.

 

L’immagine della colomba era apparsa anche domenica scorsa ed aveva sottolineato il passaggio di Giovanni dal suo modo di concepire il Messia a quello che sarà messo in essere da Gesù sotto il segno della misericordia e non del giudizio. Nell’Evangelo di oggi il testimone Giovanni approfondisce il segno della colomba con quello dell’agnello e, vedendo Gesù avvicinarsi a lui esclama: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato dal mondo!”. Immagine che richiama sia il Servo del Signore (Is 53) che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, (…) maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo”, sia l’agnello pasquale dell’Esodo con il sangue del quale furono segnati gli stipiti delle porte degli ebrei che, così furono risparmiati dalla morte. Nutriti poi dalla sua carne, compirono l’esodo dalla schiavitù dell’oppressione alla libertà. L’agnello – si stia bene attenti - non espia i peccati degli uomini come vittima vicaria, ma di sradicare, letteralmente “strappare via” il peccato dal mondo. Questo è accaduto in Esodo 12.

 

Giovanni percepisce “diverso” l’uomo che gli si sta avvicinando da tutti gli altri inabitati da quella forza diabolica rappresentata dal potere, che tenta di asservire gli altri alle loro volontà. Gesù è l’opposto, è l’uomo nuovo che attraverso il suo dono di amore sradica la logica del mondo vecchio capovolgendo la logica del peccato e affermando che il più grande non è chi domina, bensì chi serve. 

Questo ci viene indicato con forza ad ogni Eucaristica “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo!” ed è un doppio annuncio. Innanzitutto bisogna notare che il verbo è al presente indicativo; non ieri o domani: è oggi, in questo momento che la salvezza irrompe in me, in noi. Non vengono tolte le gesta più o meno malvagie commesse, ma le loro radici. Rimarranno i peccati ma come colpi di coda del maligno.

Il mondo è già salvato dall’evento di Cristo colomba/agnello. Il nostro ruolo? Quello di esserne testimoni cinti di asciugatoio, con in mano un catino pronti a servire e non a dominare.

Giovanni con l’acqua del suo battesimo toglieva i peccati; Gesù con il suo ci dona e ci immerge nel suo Spirito, nella sua realtà, ci rende uomini nuovi secondo la volontà del Padre, da lui “giustificati”, cioè resi giusti.

(BiGio)

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