«Perché sarei sopravvissuta/ se non per testimoniare/ con la mia vita con ogni mio gesto/ con ogni mia parola/ con ogni mio sguardo./ e quando avrà termine questa missione?/ Sono stanca della mia/ presenza accusatrice,/ il passato è un’arma a doppio taglio/ e mi sto dissanguando./ Quando verrà la mia ora/ lascerò in eredità/ forse un’eco all’uomo/ che dimentica e continua e ricomincia...».
(«Perché sarei sopravvissuta», in Il tatuaggio, Guanda, 1975).
A partire da questi versi di Edith Bruck, scrittrice e poetessa sopravvissuta alla Shoah, dobbiamo porci una domanda: che cosa significherà trasmettere la Memoria quando l’ultimo testimone ci avrà lasciato? Indubbiamente documenti di testimonianza come questo dovranno essere accompagnati con le voci di chi verrà dopo. Nel caso della Shoah conservare queste storie significa salvaguardare non solo il loro contenuto verbale ma anche le sensazioni, i gesti, gli odori, i suoni. La moltiplicazione delle forme documentali dovrebbe includere tutti questi aspetti, permettendo la loro permanenza. La memoria oggi è costruita sulle nostre domande e ancora sulle voci dei testimoni, ma dovrà essere sempre più accompagnata da un confronto serrato con la storia, i suoi testi, le rimozioni, le negazioni, le distorsioni e il nuovo antisemitismo. La memoria è un atto selettivo e non un deposito indifferenziato di ricordi accumulati nel tempo. La ricostruzione del passato deve essere affrontata facendo i conti con le tante rimozioni storiografiche e politiche che ancora albergano nel dibattito pubblico.
Particolarmente difficile sarà far convivere questi mondi lontani: la testimonianza di chi ha subìto l’immane dolore e la scena che si aprirà dopo l’“era dei testimoni”.
Particolarmente difficile sarà far convivere questi mondi lontani: la testimonianza di chi ha subìto l’immane dolore e la scena che si aprirà dopo l’“era dei testimoni”.
La riflessione di Deborah D’Auria continua a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202301/230125dauria.pdf
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