«Lo stemma non è obbligatorio. Proviene da famiglie aristocratiche e nobiliari e si è trascinato anche ai vescovi. Non penso sia necessario». Con disarmante semplicità – la stessa dei bambini quando fanno domande imprevedibili e scomode ai grandi, lasciandoli, il più delle volte, a bocca aperta – don Giuliano Brugnotto, neo-vescovo di Vicenza, ha spiegato così al settimanale diocesano La voce dei Berici la sua decisione di non adottare alcuno stemma episcopale. Una scelta dietro la quale non vediamo nessuna volontà di stupire chicchessia, né una forma, più o meno velata, di disprezzo per la tradizione. Piuttosto l’urgenza di introdurre un piccolo ma significativo cambiamento di rotta. Cominciando dal linguaggio (compresa la rinuncia a termini quali “eccellenza” e “monsignore”), perché spesso la forma è sostanza. «Ho scoperto che lo stemma non è obbligatorio leggendo uno scritto di Carlo Maria Martini. Lui l’ha voluto perché gli serviva per comunicare il tratto del suo ministero episcopale. Quello che a me sembrava superato è proprio lo stemma in quanto tale».
Sì, caro vescovo Giuliano (possiamo chiamarti così?), anche a noi pare che quel che la gente chiede ai suoi pastori sia, prima di tutto, di sentirli compagni di viaggio. Tu hai scelto di esserlo, rinunciando anche al motto episcopale, con una giustificazione che, di nuovo, spiazza, in positivo. Perché rivela desiderio di normalità, sete di autenticità e voglia di condividere un cammino: «Non sapevo che cosa scegliere. Mi sembrava di essere come santa Teresina che non riusciva a capire quale fosse il suo carisma. Poi alla fine ha scoperto il suo. Io scoprirò il mio strada facendo». Buon cammino, caro vescovo. E chissà che altri non seguano il tuo esempio, rinunciando a quanto non è decisivo – anzi: potrebbe rivelarsi di ostacolo – per incontrare le donne e gli uomini di oggi e appassionarli al Vangelo. Null’altro serve.
(Gerolamo Fazzini - Jesus)
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