Termina con questo Post la presentazione delle tre tele del Caravaggio. Due giorni fa un Post descriveva la "La vocazione di Matteo", ieri un altro Post ha illustrato "S. Matteo l'Angelo".
L'introduzione a queste tre tele a questo link: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/01/la-consegna-di-se-secondo-il-caravaggio.html
Il compimento della vocazione di Matteo lo troviamo nel quadro di destra della Cappella, dedicato al Martirio di San Matteo (15991600).
Anche se siamo di fronte all’ultima tappa del percorso luminoso di Matteo, si tratta della prima tela ad essere stata dipinta da Caravaggio. L’ambientazione è quella di uno spazio sacro durante la celebrazione della Messa e del Battesimo: si vedono un altare con una candela accesa e una vasca battesimale. Le fonti sono le Memorie apostoliche di Abdia, un testo apocrifo (databile intorno al VI secolo) e la Legenda Aurea (raccolta medievale di biografie agiografiche scritta da Jacopo da Varazze nella seconda parte del XIII secolo).
Nella tradizione Matteo è considerato l’evangelizzatore dell’Etiopia che riceve il martirio per mano di un sicario mandato dal re Irtaco, che aveva in odio l’apostolo per avergli impedito di sposare una giovane, Ifigenia, sua nipote, che aveva fatto voto di verginità.
Scrive la Legenda Aurea: «Quando la Messa era appena finita, arrivò il boia mandato dal re: mentre Matteo stava con le braccia tese verso il cielo, il boia gli conficcò la spada nella schiena e lo uccise, consacrandolo martire».
La scena è concitata e drammatica. Lo sguardo è catturato da una figura statuaria, il sicario, un giovane praticamente nudo che sta per infliggere il colpo mortale a Matteo, rappresentato come un anziano sacerdote rivestito dei paramenti sacri. Tutti i personaggi sono a grandezza naturale: insieme ai due protagonisti, in un movimento a spirale, ci sono altre figure di nudi a raffigurare i catecumeni, pronti per ricevere il battesimo; c’è un ragazzo, probabilmente un ministrante, che fugge inorridito; ci sono altri, tra i qua li il Caravaggio, a sinistra delle spalle del carnefice, che si auto ritrae con uno sguardo interrogante; c’è infine un angelo che al di sopra della nube sta porgendo Matteo la palma del martirio.
In questo cerchio di paura c’è un fuggifuggi generale: lo sgomento e il terrore spingono a un movimento che dal centro va verso l’esterno, a sottolineare il ritrarsi dalla scena degli astanti e il loro lasciare da solo Matteo, senza opporsi alla violenza omicida.
Anche in questo capolavoro abbondano i messaggi sulla visione della vita e della fede.
Siamo di fronte all’eterna lotta tra il bene e il male: il male, la violenza, la prepotenza e l’inganno sembrano vittoriosi e il bene sembra perdente, in una lotta impari. Il sicario è giovane, aitante, armato di spada; presenta un corpo perfetto e atletico. Sta in piedi, vittorioso e trionfante. Matteo, anziano, è per terra, inerme, disteso ai suoi piedi, già
sanguinante per il primo colpo inferto nel petto. Come è stato all’inizio nel primo delitto dell’umanità, il fratello che uccide il fratello, così si ripete nei secoli: l’umanità è ancora e sempre nell’abisso della violenza, della cattiveria, del sangue versato.
Ma l’angelo, che scende dal cielo su una nube porgendo a Matteo la palma del martirio − quasi fosse una fune che lo sta tirando verso il cielo −, dice il suo trionfo agli occhi di Dio, e ci in vita a non disperare, a confidare sempre nella vittoria finale del bene, dell’amore e del perdono.
Anche la vasca battesimale, pronta per accogliere i catecumeni e rigenerarli alla vita in Cristo, parla di morte e di nascita: Matteo sta morendo, ma sta nascendo alla vita. Il martirio è il suo “dies natalis”. Sempre il battistero, con l’altare dell’Eucarestia e con la testimonianza dell’apostolo fino al dono della vita, sono lì a richiamare la grazia e insieme le responsabilità della vita cristiana, iniziata col battesimo: quella candela accesa sull’altare, come anche il candore e la luminosità del camice di cui è rivestito Matteo, ricordano che il battezzato è chiamato ad essere luce, come affermato in Mt 5,1416: «Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli».
Ogni battezzato, sembra ricordarci il dipinto, è chiamato a manifestare la sua identità di figlio della luce, senza nasconderla, come invece sta accadendo nella scena dove tutti si ritraggono e fuggono, quasi soccombendo al male. A rinforzare questo messaggio, il giovane sicario, camuffato da catecumeno, è anche simbolo dell’inganno, del tradimento e del rinnegamento; tematiche probabilmente richiamate anche dal numero dei personaggi ritratti, in totale tredici, dodici più uno, come gli apostoli con Cristo. E viene alla memoria il suo preannuncio nell’ultima cena: «In verità vi dico: Uno di voi mi tradirà» (Mt 26,21).
Le braccia di Matteo formano come una croce: la sua mano sinistra tocca l’acqua battesimale e la mano destra è rivolta verso la croce dell’altare. La testimonianza fino alla fine accompagna i gesti sacramentali del Battesimo e dell’Eucarestia, viatico per la salvezza di ogni credente. Quella croce, richiamata nella prima tela di sinistra nella Cappella, è così il percorso del discepolo: è stata abbracciata fino in fondo in una sequela fedele, in una consegna totale, capace di introdurre e di generare altri all’incontro col Maestro per poter rispondere personalmente al suo invito.
(don Fulvio Rossi)
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