Continua la presentazione delle tre tele del Caravaggio. Ieri un Post descriveva la "La vocazione di Matteo", domani un altro Post illustrerà "La passione di S. Matteo
L'introduzione a queste tre tele a questo link: https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/01/la-consegna-di-se-secondo-il-caravaggio.html
La tela che sovrasta l’altare viene richiesta al Caravaggio dopo che la statua prevista originariamente non era stata apprezzata né dallo scultore incaricato né dai committenti.
La scena è semplificata ed essenziale e presenta due soli personaggi, l’evangelista e l’angelo. In un momento puntuale fissato nel dipinto, come già visto nella Vocazione, ci sono innumerevoli richiami simbolici e profondità di significati.
Anzitutto vengono messe in luce l’umanità dell’evangelista e l’ispirazione divina. Il volto dell’apostolo è quello di un uomo vero, un anziano, coi piedi nudi e sporchi, uno sollevato sullo sgabello, che fa anche da inginocchiatoio, e l’altro piantato, diremmo quasi ancorato alla terra. È in posizione eretta, a comunicare forza e attività, e insieme si rivolge con una torsione del corpo verso l’angelo, come inquietato dalla sua presenza, ma a dire anche capacità di ascolto e docilità, che si traduce nel mettere per iscritto quanto suggerito, così che prenda forma nelle pagine del vangelo.
È ancora l’accoglienza della presenza di Dio con la sua luce e la sua grazia che guida la vita dell’apostolo. Tutto è espresso nella profondità degli sguardi dei due protagonisti della tela, coinvolti in un dialogo intenso e silenzioso.
L’angelo è rappresentato con il volto di un giovane, con le ali a richiamare la sua natura spirituale e la sua condizione di messaggero di Dio. È avvolto in un panneggio di vesti bianche roteanti, a significare il suo legame con il cielo, la sua purezza e insieme a richiamare lo Spirito Santo che volteggia su Matteo per ispirarlo con la sua luce. Con le dita sta contando e suggerisce l’inizio del vangelo, che si apre proprio con la genealogia di Gesù (Mt 1,117), in una sequenza di generazioni che partono da Abramo fino a Giuseppe.
Oltre a presentare il rapporto tra Dio e l’apostolo nell’origine delle pagine del suo vangelo, la tela presenta anche un forte messaggio sulla natura umana: lo sgabello su cui Matteo sta appoggiato è come in bilico tra il dentro e fuori della tela, qua si che stia cascando sull’altare sottostante, a suscitare ancora una volta il coinvolgimento di chi guarda, ma soprattutto a simboleggiare la precarietà della condizione umana. Quella panchetta traballante che fa da appoggio instabile per l’evangelista, sbilanciato e quasi cadente, ci ricorda la nostra fragile natura, impastata di carne e di spirito, sempre in bilico tra il bene e il male, segnata dalla mortalità e assetata di vita piena ed eterna.
Tutti gli elementi che nel di pinto della Vocazione raccontano il lavoro di Matteo al banco delle imposte vengono riproposti qui, praticamente identici, come contesto e strumenti della sua missione di evangelista: lo sgabello, il tavolo, il calamaio con l’inchiostro, il libro. Ora sono al servizio dell’annuncio della Parola di vita e di misericordia, che ha raggiunto prima di tutto Matteo e che viene trasmessa a chi legge il suo Vangelo.
È significativo che questo dipinto sia posto al centro della Cappella Contarelli, come grande pala d’altare. Siamo nell’epoca della Controriforma: se da un lato viene limitata la lettura individuale della Bibbia (che richiedeva comunque un’apposita licenza), al contempo questa tela afferma l’importanza della Sacra Scrittura. Questa − ci viene detto − insieme all’Eucaristia, celebrata sull’altare sottostante con lo sguardo rivolto alla scena della stesura del Vangelo, è il necessario nutrimento per la vita del popolo di Dio.
(don Fulvio Rossi)
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