Iran, forza e fragilità del sogno di una rivoluzione

La morte della giovane curda Mahsa Amini il 16 settembre scorso, dopo il suo arresto da parte della cosiddetta polizia morale (Ghast-e-Ershad) iraniana, ha certamente segnato un punto di non ritorno nella storia dei movimenti di protesta contro i vertici e la legittimità stessa della Repubblica Islamica. Quella che sembrava partita solo come una nuova e potente ondata di proteste contro l’obbligo del velo ha visto subito giovani donne e uomini fianco a fianco, in una lunga serie di manifestazioni diffuse in tutto il paese, ormai entrate nel loro quarto mese quasi senza soluzione di continuità. 


Tramite le informazioni diffuse sui social media da milioni di simpatizzanti ma anche dai potenti mezzi di chi domina lo spazio della rete e del’intelligenza artificiale, l’hashtag #IranRevolution ha ormai soppiantato il più prudente #IranProtests2022, scolpendo indelebilmente anche la nostra percezione del presente, e forse anche la sua rappresentazione nelle pagine di storia del futuro. Ma la giusta distanza che da giornalisti dovremmo sempre cercare di  mantenere, al di là delle sollecitazioni cui veniamo sempre soggetti, ci impone di guardare non solo alla potenza di un sogno di rivoluzione, ma anche agli ostacoli oggettivi che lo fronteggiano e ai rischi che può correre per volontà di altri agenti, presenti e attivi all’interno del paese o nelle dinamiche geopolitiche esterne. 


L'intera analisi di Luciana Borsasti a questo link:

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