Sicuramente delle tre è la tela più famosa, tutta carica di mistero e di svariate possibilità di interpretazione, strade voluta mente lasciate aperte dal Caravaggio per interpellare diretta mente chi guarda il quadro fino quasi ad attrarlo all’interno della stessa scena rappresentata. Il dipinto è costruito su Mt 9,9: «Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì». Tutto è giocato sulla provocazione di questo invito e sulle reazioni che suscita in chi ascolta. Appaiono due gruppi di persone ben distinte: sulla destra, in piedi, Gesù e l’apostolo Pietro; sulla sinistra cinque persone attorno a un tavolo dove sono in evidenza delle monete, un sacchetto di soldi, un libro, un calamaio. Potremmo trovarci sia in un interno, in una bettola, oppure in un angolo di una via della Roma dei tempi del pittore. L’ambienta zione nella sua epoca, sottolineata pure dei vestiti del gruppo di sinistra, sta ad indicare la con temporaneità dell’evento: non solo Gesù ha chiamato Matteo, ma anche oggi e sempre egli entra nelle nostre case, nelle nostre vicende, passa per le nostrestra de e continua a rinnovare l’invito a seguirlo. La scena è scura e dall’alto, da destra, si proietta un fascio di luce. Il rapporto costante tra la luce e l’oscurità è una delle caratteristiche delle opere di Caravaggio, espressione di un tormento e di un cammino interiore, di un desiderio di luce e di grazia. Nell’abisso, nello spazio tenebroso dell’esistenza di Matteo, guardato e giudicato come un perduto, un rinnegato, un intoccabile dalla gente del suo tempo per il suo mestiere di pubblicano, comincia a risplendere la luce della grazia e della chiamata che lo tira fuori dalle tenebre e che lo fa rialzare, prospettando un cammino di rinnovamento.
Il dito di Gesù che chiama il futuro apostolo ed evangelista è infatti una citazione esplicita del Michelangelo della Cappella Sistina: quel dito di Dio creatore che, appena sfiorandolo, trasmette la vita ad Adamo. Quella di Matteo sarà come una nuova creazione, una vera e propria risurrezione. Da notare che la mano di Gesù è proprio in corrispondenza della Croce disegnata sulla finestra sovrastante: Gesù è morto, ha donato la sua vita per farci risorgere con lui. Entra nei nostri sepolcri (qualcuno sottolinea che l’ambientazione richiami simbolicamente una tomba) per portarci alla vita. La misericordia di Dio Padre, manifestata nel figlio Gesù, non è solo purificazione dal male e dal peccato, ma un grembo che trasforma e genera vita nuova.
Nella tela della Vocazione è rappresentata la vita fino a quel momento concentrata sul denaro, su quel lavoro sporco legato alla riscossione delle tasse, con la tentazione di esigere più del dovuto; e insieme si intravede la prospettiva promettente di un senso nuovo, di un respiro più ampio di bellezza e di libertà.
Da una parte abbiamo il fascino eterno degli idoli di sempre (i beni, il successo, il piacere, il potere) che appagano immediatamente, ma che sottraggono tempo ed energie ed affossano le esistenze.
L’imbruttimento di una vita attratta dall’idolo del denaro la si coglie nella figura del giovane concentrato con lo sguardo sul le monete e con la mano destra che sembra il piede di un maiale. È un chiudersi in sé stesso, nella solitudine, in una vita che non è vita. Il Caravaggio sembra interpellare anche noi su quegli attaccamenti che illudono di portare felicità e pienezza, e che distraggono da una sequela fresca e viva.
Dall’altra parte Gesù e la luce che lo accompagna chiamano ad uscire da qui, a lasciarsi sollevare da ogni forma di ripiegamento su di sé e sulle cose. È il Crocifisso risorto che ci prende insieme a lui nella risurrezione. Chiede a ciascuno, nella sua libertà, di rispondere al suo invito.
Ma nel dipinto chi è Matteo, chi è il destinatario di quell’invito: «Seguimi!»? La tradizione l’ha sempre individuato nel personaggio con la barba. Studi recenti invece identificano Matteo proprio nel giovane all’estremità sinistra del quadro, curvo a contare le monete e con ben stretto nella mano sinistra un sacchetto con altre monete. In questo caso l’uomo barbuto indicherebbe non sé stesso, ma appunto quel giovane totalmente preso come in una specie di possessione diabolica. Ancora più recente e suggestiva è l’interpretazione che vede nei personaggi attorno al tavolo il processo della decisione di Matteo davanti alla chiamata del Maestro: un percorso a tappe che passa dall’essere chiusi in se stessi, totalmente concentrati sui beni (il giovane di sinistra); alla fase del ripensamento, lasciando risuonare nel cuore l’invito di Gesù (l’uomo maturo con la barba); al momento del ritornare semplici, bambini (il ragazzo, che rimanda alle parole di Gesù: «Se non diventate come i bambini non entrerete nel Regno dei cieli», Mt 18,5); e finalmente la decisione di muoversi, di alzarsi e di tagliare col passato (il giovane di spalle con la spada). In somma, Matteo non sarebbe uno solo dei personaggi rappresenta ti nella scena, ma ognuno di essi lo rappresenterebbe in una fase del suo percorso di conversione.
E quell’anziano in piedi a sinistra che si sta mettendo a posto gli occhialini? Anche qui il ventaglio delle interpretazioni è vario: potrebbe essere lì a rappresentare con gli altri le diverse età della vita, perché in tutti i momenti dell’esistenza può apparire la luce della grazia; o ad dirittura sarebbe il nemico per eccellenza, l’Anticristo, quel lo che sa cosa conta nella vita, quello che spinge a concentrarsi su quelle monete sul tavolo, senza alzare la testa in segno di attenzione e di risposta.
Ancora di più intuiamo che il Caravaggio ha colto bene cosa si muove, direbbe il Manzoni, in «quel guazzabuglio del cuore umano», impastato di tenebra e di luce, di miseria e di possibilità di riscatto, di legami opprimenti e di desiderio di libertà.
E Pietro, che sappiamo essere stato aggiunto in un secondo momento rispetto al progetto originario, non solo sarebbe lì a dire la mediazione necessaria della Chiesa che rende presente Cristo nella storia, o a testimoniare la conversione di un peccatore diventato capo del la Chiesa, ma col suo dito rimprovererebbe l’uomo con la barba che quasi si scandalizza che Gesù stia chiamando proprio il peggiore tra quelli che sono attorno a quel tavolo.
Il Merisi ci ricorda che la misericordia di Dio, cuore della rive lazione di Gesù, suscita sempre obiezioni, malumore e scandalo. Vorremmo un Dio giudice, severo, incupito: e la misericordia di Gesù, la sua compassione con cui cerca, accoglie, perdona e guarisce il peccatore, sconvolge e scandalizza, perché contrasta con la nostra idea di giustizia.
Chissà quanto dell’esperienza e dei tormenti personali del Caravaggio è concentrato in questo dipinto! E che provocazione pensare alla missione della Chiesa, rappresentata qui come “Casa della misericordia”.
Le altre due opere della Cappella Contarelli illustrano l’esito della chiamata di Matteo che risponde positivamente all’invito consegnando sé stesso al Cristo: la trasformazione di questo peccatore nell’apostolo, nell’evangelista, nel martire. Il cammino del discepolato non è finito con la risposta alla prima chiamata; è un percorso di fedeltà, di grazia da accogliere, di testimonianza coerente.
(don Fulvio Rossi)
Continua domani con un altro Post: S. Matteo e l'Angelo
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