La consegna di sé secondo Caravaggio: 1) La vocazione di Matteo

In occasione della Domenica della Parola istituita da papa Francesco e che ricorre ogni anno la terza domenica del Tempo Ordinario dell’anno liturgico (quest’anno il 22 gennaio), proponiamo una catechesi che analizza tre quadri del Caravaggio nei quali mostra cosa succede in chi si consegna al Signore. 


Sicuramente delle tre è la tela più famosa, tutta carica di mi­stero e di svariate possibilità di interpretazione, strade voluta­ mente lasciate aperte dal Cara­vaggio per interpellare diretta­ mente chi guarda il quadro fino quasi ad attrarlo all’interno della stessa scena rappresentata. Il dipinto è costruito su Mt 9,9: «Gesù vide un uomo, chia­mato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse “Segui­mi”. Ed egli si alzò e lo seguì». Tutto è giocato sulla provocazio­ne di questo invito e sulle rea­zioni che suscita in chi ascolta. Appaiono due gruppi di persone ben distinte: sulla destra, in pie­di, Gesù e l’apostolo Pietro; sulla sinistra cinque persone attorno a un tavolo dove sono in eviden­za delle monete, un sacchetto di soldi, un libro, un calamaio. Po­tremmo trovarci sia in un inter­no, in una bettola, oppure in un angolo di una via della Roma dei tempi del pittore. L’ambienta­ zione nella sua epoca, sottoline­ata pure dei vestiti del gruppo di sinistra, sta ad indicare la con­ temporaneità dell’evento: non solo Gesù ha chiamato Matteo, ma anche oggi e sempre egli en­tra nelle nostre case, nelle nostre vicende, passa per le nostrestra­ de e continua a rinnovare l’invi­to a seguirlo. La scena è scura e dall’alto, da destra, si proiet­ta un fascio di luce. Il rapporto costante tra la luce e l’oscurità è una delle caratteristiche delle opere di Caravaggio, espressio­ne di un tormento e di un cam­mino interiore, di un desiderio di luce e di grazia. Nell’abisso, nello spazio tenebroso dell’e­sistenza di Matteo, guardato e giudicato come un perduto, un rinnegato, un intoccabile dalla gente del suo tempo per il suo mestiere di pubblicano, comin­cia a risplendere la luce della grazia e della chiamata che lo ti­ra fuori dalle tenebre e che lo fa rialzare, prospettando un cam­mino di rinnovamento. 

Il dito di Gesù che chiama il futuro apostolo ed evangelista è infatti una citazione esplici­ta del Michelangelo della Cap­pella Sistina: quel dito di Dio creatore che, appena sfioran­dolo, trasmette la vita ad Ada­mo. Quella di Matteo sarà co­me una nuova creazione, una vera e propria risurrezione. Da notare che la mano di Gesù è proprio in corrispondenza del­la Croce disegnata sulla finestra sovrastante: Gesù è morto, ha donato la sua vita per farci risorgere con lui. Entra nei nostri sepolcri (qualcuno sottolinea che l’ambientazione richiami simbolicamente una tomba) per portarci alla vita. La mise­ricordia di Dio Padre, manife­stata nel figlio Gesù, non è so­lo purificazione dal male e dal peccato, ma un grembo che tra­sforma e genera vita nuova. 

Nella tela della Vocazione è rappresentata la vita fino a quel momento concentrata sul dena­ro, su quel lavoro sporco legato alla riscossione delle tasse, con la tentazione di esigere più del dovuto; e insieme si intravede la prospettiva promettente di un senso nuovo, di un respiro più ampio di bellezza e di libertà. 

Da una parte abbiamo il fasci­no eterno degli idoli di sempre (i beni, il successo, il piacere, il potere) che appagano immedia­tamente, ma che sottraggono tempo ed energie ed affossano le esistenze.

L’imbruttimento di una vita attratta dall’idolo del denaro la si coglie nella figura del giovane concentrato con lo sguardo sul­ le monete e con la mano destra che sembra il piede di un maia­le. È un chiudersi in sé stesso, nella solitudine, in una vita che non è vita. Il Caravaggio sembra interpellare anche noi su que­gli attaccamenti che illudono di portare felicità e pienezza, e che distraggono da una sequela fre­sca e viva. 

Dall’altra parte Gesù e la lu­ce che lo accompagna chiama­no ad uscire da qui, a lasciarsi sollevare da ogni forma di ri­piegamento su di sé e sulle co­se. È il Crocifisso risorto che ci prende insieme a lui nella risur­rezione. Chiede a ciascuno, nel­la sua libertà, di rispondere al suo invito. 

Ma nel dipinto chi è Matteo, chi è il destinatario di quell’in­vito: «Seguimi!»? La tradizione l’ha sempre individuato nel per­sonaggio con la barba. Studi re­centi invece identificano Matteo proprio nel giovane all’estremità sinistra del quadro, curvo a con­tare le monete e con ben stretto nella mano sinistra un sacchetto con altre monete. In questo ca­so l’uomo barbuto indicherebbe non sé stesso, ma appunto quel giovane totalmente preso come in una specie di possessione dia­bolica. Ancora più recente e sug­gestiva è l’interpretazione che vede nei personaggi attorno al tavolo il processo della decisione di Matteo davanti alla chiamata del Maestro: un percorso a tappe che passa dall’essere chiusi in se stessi, totalmente concentrati sui beni (il giovane di sinistra); alla fase del ripensamento, lascian­do risuonare nel cuore l’invito di Gesù (l’uomo maturo con la barba); al momento del ritorna­re semplici, bambini (il ragazzo, che rimanda alle parole di Gesù: «Se non diventate come i bam­bini non entrerete nel Regno dei cieli», Mt 18,5); e finalmente la decisione di muoversi, di alzar­si e di tagliare col passato (il gio­vane di spalle con la spada). In­ somma, Matteo non sarebbe uno solo dei personaggi rappresenta­ ti nella scena, ma ognuno di essi lo rappresenterebbe in una fase del suo percorso di conversione.

E quell’anziano in piedi a si­nistra che si sta mettendo a po­sto gli occhialini? Anche qui il ventaglio delle interpretazioni è vario: potrebbe essere lì a rap­presentare con gli altri le diver­se età della vita, perché in tutti i momenti dell’esistenza può ap­parire la luce della grazia; o ad­ dirittura sarebbe il nemico per eccellenza, l’Anticristo, quel­ lo che sa cosa conta nella vita, quello che spinge a concentrarsi su quelle monete sul tavolo, sen­za alzare la testa in segno di at­tenzione e di risposta. 

Ancora di più intuiamo che il Caravaggio ha colto bene co­sa si muove, direbbe il Manzoni, in «quel guazzabuglio del cuore umano», impastato di tenebra e di luce, di miseria e di possibilità di riscatto, di legami opprimenti e di desiderio di libertà. 

E Pietro, che sappiamo esse­re stato aggiunto in un secon­do momento rispetto al proget­to originario, non solo sarebbe lì a dire la mediazione necessaria della Chiesa che rende pre­sente Cristo nella storia, o a te­stimoniare la conversione di un peccatore diventato capo del­ la Chiesa, ma col suo dito rim­provererebbe l’uomo con la bar­ba che quasi si scandalizza che Gesù stia chiamando proprio il peggiore tra quelli che sono at­torno a quel tavolo. 

Il Merisi ci ricorda che la mise­ricordia di Dio, cuore della rive­ lazione di Gesù, suscita sempre obiezioni, malumore e scandalo. Vorremmo un Dio giudice, seve­ro, incupito: e la misericordia di Gesù, la sua compassione con cui cerca, accoglie, perdona e guarisce il peccatore, sconvolge e scandalizza, perché contrasta con la nostra idea di giustizia. 

Chissà quanto dell’esperienza e dei tormenti personali del Ca­ravaggio è concentrato in que­sto dipinto! E che provocazio­ne pensare alla missione della Chiesa, rappresentata qui come “Casa della misericordia”. 

Le altre due opere della Cap­pella Contarelli illustrano l’esito della chiamata di Matteo che ri­sponde positivamente all’invito consegnando sé stesso al Cristo: la trasformazione di questo pec­catore nell’apostolo, nell’evan­gelista, nel martire. Il cammino del discepolato non è finito con la risposta alla prima chiama­ta; è un percorso di fedeltà, di grazia da accogliere, di testimo­nianza coerente. 

(don Fulvio Rossi)


Continua domani con un altro Post: S. Matteo e l'Angelo

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